Visioni

Marc Ribot, metto in musica tutte le mie contraddizioni

Marc Ribot, metto in musica tutte le mie contraddizioniMarc Ribot durante un'esibizione a Novara Jazz – foto di Emamuele Meschini

Incontri Un disco in trio, un libro molto personale e il tour nel Bel paese per il chitarrista americano

Pubblicato circa un anno faEdizione del 23 luglio 2023

Dopo avere in primavera portato anche in Italia il suo organ trio The Jazz Bins (vedi il manifesto del 18 aprile), Marc Ribot, dagli anni ottanta uno dei chitarristi più ammirati in ambito jazz e avantgarde, è tornato nel nostro paese in luglio per alcune date, col suo trio Ceramic Dog o in solo: in solo Ribot si esibirà questa mattina al Santuario di Sant’Emiliano a Sarezzo (Brescia), nell’ambito dell’ultima giornata del Ground Music Festival. Proprio nei giorni scorsi è uscito il quinto album di Ceramic Dog, Connection (Knockwurst); e sempre in luglio è uscito Nelle mie corde. Storie e sproloqui di un chitarrista noise (Sur, 200 pp. Circa, 20 euro), traduzione a due anni dalla pubblicazione dell’originale: non una normale autobiografia, ma un libro con cui Ribot mostra come scrivere sia per lui un piacere e un impegno quanto suonare la chitarra. Indaffaratissimo a cavallo fra Stati uniti ed Europa, Ribot – politicamente molto consapevole, e attento nella scelta dei media con cui interloquire – ha trovato il tempo per rispondere a qualche domanda del manifesto.

Spaziando nei repertori da Zorn a Frantz Casseus, dagli standard ad Albert Ayler, ha inciso vari album in solo, che dalla critica hanno avuto riscontri molto positivi. Ma è dal 2010 che non ne pubblica uno nuovo: come mai?

Pigrizia. O magari il problema della solitudine? Ma aspetta di ascoltare il materiale per lo più in solo voce e chitarra su cui sto lavorando!

Una bulimia che lo ha portato a spaziare nei repertori da Zorn a Frantz Casseus. Sempre con creatività

C’è qualcosa che è  particolarmente interessato ad approfondire oggi in una performance in solo, o quello che fa dipende semplicemente dalla location, dal contesto, dal paese in cui si trova, dallo stato d’animo della giornata?

Dipende sempre da tutti i fattori che hai ricordato, ma anche da forze più misteriose, maligne e benigne, che non sono ancora riuscito a identificare con precisione, e meno che meno a padroneggiare.

Ha pubblicato diversi album con il suo trio Ceramic Dog, ma a quanto pare è particolarmente soddisfatto dell’ultimo, Connection: il motivo?

Forse dipende dal fatto che l’abbozzo iniziale della base dei brani era abbastanza un disastro, e chissà se sono state le misteriose forze maligne/benigne di cui parlavo prima, ma qualcosa ci ha spinti ad un livello più alto di ri-composizione e ri-esecuzione. Ma c’è stato anche un fattore non misterioso: il produttore/tecnico del suono Ben Greenberg, che ha missato le registrazioni, ed è fantastico.

Nella sua carriera ha suonato e continua a suonare in una incredibile varietà di generi e repertori e con una quantità e diversità di artisti che ha pochi paragoni. Ovviamente è richiesto in così tante situazioni per la sua versatilità e personalità, ma c’è un impulso a fare cose molto diverse anche nei suoi progetti personali: pensa che si tratti del desiderio di catturare magari lo spirito del nostro tempo?

Beh, forse semplicemente non riesco a stare fermo. Ma per me c’è una certa energia che unifica le musiche che ho suonato: tutte o buona parte. Chiunque abbia assistito ad un set veramente caldo di un organ trio, o ad una grande esibizione di son cubano, o abbia familiarità con il rara haitiano (una esplosiva forma di musica popolare, di matrice fondamentalmente africana, ndr), sa che hanno qualcosa in comune con lo show di un gruppo hardcore, con la gente che si mette a pogare sotto il palco. Ma lascio che siano gli altri a rendersene conto. Il mio obiettivo è soltanto di portare ad un punto più alto le mie contraddizioni, e spaccare.

In che misura nella sua musica furia, rumore, forme estreme di espressione hanno a che vedere con una rabbia verso «lo stato di cose presente» (per citare Marx), con la ribellione contro l’ingiustizia, eccetera?

Naturalmente i crimini dell’imperialismo (per citare Lenin) mi mandano fuori di testa come quando ero un ragazzo in New Jersey. Però… la musica è qualcosa di mediato: come lo è anche l’azione politica efficace. Mi ha sempre colpito quanto i critici negli anni sessanta discutessero della musica di Albert Ayler e di altri protagonisti del free jazz in termini di rabbia, non cogliendo la sua enorme tensione spirituale, la sua bellezza e la sua esilarante componente di umorismo. Non è che stavano proiettando sulla musica le loro paure? Ma la vera risposta alla domanda è: non lo so.

C’è da sperare che Trump sia sconfitto di nuovo, ma per esempio la politica sui migranti al confine sud degli Stati uniti non è così cambiata da Trump a Biden…

Avrei molte cose da dire sulle politiche attuali del Partito Democratico. Ma il problema principale è che il nucleo di un grande partito politico americano può oggi essere descritto come attivamente fascista. Anche non pochi italiani, no?

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