Marc Augé, possibilità e limiti della «surmodernità»
RITRATTI L’antropologo francese è morto il 24 luglio all’età di 87 anni. È stato, nel senso classico del termine, un critico radicale dell’ideologia, indicandoci che esiste una differenza tra globalizzazione e società mondiale. Tra i temi su cui ha ragionato, vi sono le «città globali» (Londra, Parigi, Tokyo, New York, Milano), coacervo di ultra-ricchi e ultra-poveri, di «sud» e «nord» del mondo
RITRATTI L’antropologo francese è morto il 24 luglio all’età di 87 anni. È stato, nel senso classico del termine, un critico radicale dell’ideologia, indicandoci che esiste una differenza tra globalizzazione e società mondiale. Tra i temi su cui ha ragionato, vi sono le «città globali» (Londra, Parigi, Tokyo, New York, Milano), coacervo di ultra-ricchi e ultra-poveri, di «sud» e «nord» del mondo
Nella fase attuale di trasformazione e crisi che stiamo vivendo in seguito agli effetti della pandemia così come del protrarsi della guerra in Ucraina – la cui evoluzione\involuzione è molto difficile da prevedere – si sta diffondendo sempre più l’idea che il modello di sviluppo sociale ed economico centrato sulla globalizzazione neoliberale abbia definitivamente esaurito la sua spinta propulsiva: parziale abbandono del libero mercato anche in nome delle esigenze della sicurezza nazionale, ritorno in patria di molte industrie, difficoltà a realizzare la transizione ecologica, riesplodere delle tensioni internazionali tra le grandi potenze.
Così, dopo essere toccato a parole chiave come «democrazia», «modernità», «industriale», il prefisso «post» – che sta ad indicare un interregno nel quale il vecchio è morto e il nuovo stenta ad affermarsi, per dirla con Antonio Gramsci – viene ora associato a globalizzazione: di post-globalizzazione non parlano però tanto o solo studiose e studiosi né tanto meno quei soggetti politici e sociali, ormai in grande difficoltà, che della critica alla globalizzazione avevano fatto un tema centrale sin dalla fine del XX secolo. Il dibattito, al contrario, è ora promosso anche dagli ambienti economici e finanziari mondiali e nazionali: basti pensare che «Ripensare la globalizzazione» era esattamente il tema del Festival internazionale dell’economia di Torino, svoltosi all’inizio di giugno.
PER COMPIERE l’ormai necessaria operazione di ridefinizione della globalizzazione, in modo da cercare di non farsi travolgere dagli eventi così come da non lasciare in mano a quelle classi dirigenti che hanno creato il problema – salvo oggi cercare di ripulirsi l’immagine – il tentativo, ovviamente gattopardesco, di gestire il cambiamento, occorre rimettere al centro le contraddizioni che la globalizzazione, nella sua «golden age», ha prodotto al livello sociale e culturale. Cosa è stata e cosa è tuttora la globalizzazione? Come ha investito la vita quotidiana degli abitanti del pianeta, spesso facendo delle «città globali» (Londra, Parigi, Tokyo, New York, Milano) un coacervo inestricabile di ultra-ricchi e ultra-poveri, di «sud» e «nord» del mondo, di ritorno dell’arcaismo e di iper-tecnologia? Marc Augé ha dedicato la sua vita e i suoi studi ad affrontare queste domande così urgenti, promuovendo anche una profonda ridefinizione dei compiti dell’antropologia come disciplina ad un tempo scientifica, culturale e critica, nel momento in cui, l’«Altro culturale» – il vecchio indigeno sottoposto allo sguardo del colonizzatore bianco – irrompe come categoria universale dell’esperienza sociale di tutti noi: ciascuno è ormai indigeno e Altro culturale per tutti gli altri, generalizzando un’esperienza di profonda estraneazione.
TUTTAVIA, se Marc Augé fosse stato solo questo, l’intellettuale che risponde a domande sui soli «dati di fatto», sarebbe stato un semplice «uomo di fatto», citando l’Adorno dei Minima Moralia. E allora ci potremmo accontentare degli articoli e dei titoli dei giornali di questi giorni che lo definiscono solo in rapporto ai suoi contributi più popolari e giustamente famosi, quelli sui «non-luoghi». Chiamandolo «filosofo», in un ostinato quanto ignorante rifiuto dello scandalo critico dell’antropologia e delle scienze sociali. Marc Augé è invece andato ben oltre queste operazioni di normalizzazione ed è stato, nel senso classico del termine, un critico radicale dell’ideologia: ha indicato a tutte e tutti noi che esiste una differenza tra globalizzazione e società mondiale. Che la prima rappresenta probabilmente solo la preistoria, brutale e primitiva, della seconda che, invece, potrebbe dominare, non più nei racconti e nelle teorie ma nelle pratiche, i secoli avvenire.
E CHE L’ANTROPOLOGIA è, partendo dall’osservazione e dalla riflessione, una delle vie per promuovere il pensiero sul futuro e spezzare l’«eterno presente», il proporsi dell’esistente con le sue disuguaglianze e ingiustizie, come necessità insuperabile: dall’Antropologo e il mondo globale (2013) a Un altro mondo è possibile (2015) Augé sottolinea invece la necessità di coltivare un’utopia non totalitaria, quella dell’istruzione per tutte e tutti, unica in grado di salvarci dal suicidio collettivo. E di tendere, quindi, alla promozione di un’umanità che un giorno possa dichiararsi non più globale ma totale, nel senso in cui la intende Marcel Mauss – straordinario antropologo del secolo passato – vale a dire intelligente, lucida, ambiziosa e solidale.
Esattamente il contrario di come il sovranismo e il rosso-brunismo, che iniziano a prendere forza dopo la prima grande crisi della globalizzazione del 2007-2008, immaginano l’uscita dal modello della globalizzazione. Ma anche di come le scienze sociali, rassegnate nel migliore dei casi ad essere semplici «interpreti e descrittori» del presente e, nel peggiore, a ripiegarsi sui propri dibattiti interni, concepiscono il loro ruolo nel mondo contemporaneo.
PER TUTTI QUESTI MOTIVI, Marc Augé è stato e resterà soprattutto lo studioso e l’intellettuale che, rilanciando il senso più profondo di questa figura – un senso forse impossibile da replicare e generalizzare nelle condizioni odierne – ha esplorato non solo i limiti ma anche le possibilità della «surmodernità».
Categoria da lui coniata per indicare una modernità materiale talmente potente e accelerata da creare un continuo e frenetico eccesso di eventi e cose nella vita di ciascuno – i non-luoghi, come stazioni e aeroporti, con i loro flussi incessanti, ne sono una delle massime espressioni – tali da estraniarci continuamente; ma anche da porre le basi per un superamento di questa alienazione; di un rinnovamento cioè del pensiero e delle pratiche sociali in direzione della costruzione della «società mondiale» e, appunto, dell’umanità davvero totale. Così, per il mondo che ci ha fatto leggere Augé vale per noi che siamo suoi posteri e forse post-globali, quanto il poeta Friedrich Hölderlin scrisse in un suo noto verso: «là dove c’è il pericolo, cresce anche ciò che salva».
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