Mappatura sentimentale intorno al mondo
Mostre «AZ - Arturo Zavattini fotografo»: al Museo delle arti e tradizioni popolari di Roma, fino al 28 marzo molti scatti inediti del decennio cha va dagli anni Cinquanta ai Sessanta
Mostre «AZ - Arturo Zavattini fotografo»: al Museo delle arti e tradizioni popolari di Roma, fino al 28 marzo molti scatti inediti del decennio cha va dagli anni Cinquanta ai Sessanta
Occupa un posto eccentrico Arturo Zavattini nella storia della fotografia. In realtà, se volessimo provare a sfogliare un album che racchiuda la sua produzione, se volessimo estrapolare un esprit dalle sue immagini, rimarremmo sconcertati. Perché il viaggio visivo a cui invita Zavattini, schivo figlio di Cesare che proprio al padre deve la sua passione per l’immagine non solo cinematografica (fu lui a regalargli la prima macchina fotografica), procede a zig zag, invertendo spesso la marcia: affonda sì nei luoghi con un tuffo immersivo, ma lascia anche improvvisi spazi liberi per riempire quella «geografia» che scorre davanti agli occhi.
Così, dalla Lucania attraversata insieme a Ernesto De Martino ai bambini di Bangkok (piccola misura di civiltà che si staglia spesso davanti a «soglie»), fino alla Cuba delle danze di campagna o agli incontri casuali con Che Guevara, per finire con gli «affreschi» delle pause lavorative nei set del cinema, il mosaico composto da questo reporter ha un sapore antropologico, mescolato a uno creativo/artistico venato di reminiscenze tratte da film. Un bel cocktail da decrittare per lo spettatore, che può evitare di incagliarsi, affidandosi a un primitivo stupore. Arturo Zavattini non dà solo testimonianza, ma produce mondo ignoto: molto della ruvida vita che toccava ai contadini dell’Italia demartiniana, in quel magico 1952, l’abbiamo imparata dai suoi scatti.
La bella mostra romana che il Museo Nazionale delle Arti e tradizioni Popolari di Roma gli dedica (visitabile fino al 28 marzo, a cura di Francesco Faeta e Giacomo Daniele Fragapane) si concentra su un unico decennio: quello che va dagli anni 50 ai 60, mentre il libro di Contrasto che accompagna l’esposizione tenta un catalogo generale dell’opera di questo particolarissimo fotografo, nato a Luzzara nel 1930. Carattere non certo votato alla mondanità e alla promozione di se stesso, Zavattini ha custodito nel suo archivio personale molte pellicole e una grande parte di mondo è rimasta per cinquant’anni inedita e invisibile. Alcune di quelle immagini escono dal’oscurità che le aveva inghiottite e divengono «pubbliche» per la prima volta, stampate in occasione di questa rassegna: come spiega la direttrice del museo Maura Picciau, «emergono da un silenzio lungo quasi mezzo secolo».
Il lavoro nel cinema, la professionalità «narrativa» e la drammaturgia della luce applicata alle esigenze del racconto che va in scena, nel tempo aveva velato la sua passione primaria e Arturo Zavattini aveva messo in soffitta, come fosse un hobby giovanile, la fotografia come genere indipendente. C’è voluto uno scavo non indifferente e la caparbietà degli studiosi per ricostruire una possibile «serialità» di un immaginario che porta dentro di sé la cartografia di un paese, le tracce di una pluralità di storie insieme local e global.
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