Da qualche anno il Palazzo Blu di Pisa ospita in primavera una grande mostra dedicata a nomi di spicco del fumetto italiano. Curate dal prof. Giorgio Bacci, si sono alternate negli anni esposizioni dedicate a Lorenzo Mattotti (2017), Gipi (2019), Igort (2023) e una collettiva su fumetti e migrazioni «Connessioni. raccontare la speranza» (2022) della quale abbiamo parlato anche su queste pagine. Docente di storia dell’arte contemporanea nell’ateneo fiorentino, Bacci difende e diffonde la portata artistica del medium fumetto nel contesto museale del lungarno pisano, che tra le sale della permanente da sempre accoglie importanti personali e collettive dedicate all’arte moderna e contemporanea.

Il percorso espositivo dedicato al lavoro di Manuele Fior, Viaggio a colori, che ha inaugurato sabato scorso e rimarrà aperto fino al primo di settembre, conferma la solidità della proposta. In mostra le tavole da quattro dei fumetti più significativi dell’autore cesenate e giramondo, che da qualche anno vive con la famiglia a Venezia, fumettista tra i più significativi del ventennio d’oro del graphic novel italiano.

Nel catalogo che approfondisce la direzione della sua curatela, Bacci individua nella biografia di Fior elementi che ricorrono nei suoi racconti tracciando sentieri e creando collegamenti tematici tra i titoli in mostra. Così se Cinquemila chilometri al secondo (Coconino Press, 2010) – il fumetto che ha lanciato l’autore nel panorama internazionale- mostra analogie con Hypericon (Coconino, 2023), il suo ultimo lavoro, è innegabile che Celestia (Oblomov 2019, 2020) sia una storia legata a L’intervista (Coconino, 2013), fumetto in bianco e nero, ambientato nella Udine del 2048. Nei primi due i protagonisti sono giovani che cercano una propria dimensione professionale e umana, attraverso il viaggio e l’amore.

Durante l’inaugurazione della mostra l’autore si avvicina e commenta alcune tavole di Cinquemila chilometri al secondo. «Era la prima volta che lavoravo a colori e decisi di chiamare Mattotti per chiedergli qualche consiglio. Mi disse cose che a lui probabilmente sembravano scontate e trite, ma che si rivelarono di importanza fondamentale. Mi suggerì di rimanere su una griglia abbastanza definita e soprattutto di non far troppa confusione con i colori: per questo molta parte del fumetto ha questo tono color terra- l’Egitto dove Piero lavora in uno scavo- la parte iniziale è gialla e verde, più accesa, mentre la parte dell’incontro dei protagonisti è disegnata e colorata con i toni dell’indaco».

La sequenza è in mostra e svela irrevocabilmente la temperatura di questo ritrovo atteso ma deludente; dagli spazi piovosi i colori sembrano colare dalla tavola e tutto sembra piangere e decadere insieme ai corpi dei protagonisti, sciogliersi nella liquidità del tempo passato. Ritorno del passato nel tempo presente e doppia ambientazione sono elementi strutturali anche in Hypericon, dove la città nordeuropea è stavolta Berlino in contrasto con la terra dei faraoni, che da sempre affascina Fior, per un periodo della propria vita coinvolto in uno scavo.

I protagonisti Teresa e Ruben sono italiani e s’incontrano a Berlino dove lei è curatrice della prima esposizione europea dei tesori della tomba di Tutankhamen. La linea narrativa si sdoppia e attraverso il diario dell’avventuriero Howard Carter assistiamo al ritrovamento di queste meraviglie che contribuiscono a turbare il sonno di Teresa. Fior appartiene a quella che Bacci definisce la «generazione Erasmus», che lui stesso, e anche chi scrive, ben conosce.
Come molti dei lettori ai quali le sue storie arrivano come sogni ad occhi aperti, Manuele Fior ha portato la sua gioventù e il suo percorso formativo e artistico in molte capitali europee entrando in contatto con storie analoghe o diversissime dalla sua, studiando e arricchendosi di un variegato e vastissimo bagaglio culturale, che ha dato vita a un personale «senso della costruzione» e lo ha reso capace di raccogliere frammenti di realtà e offrire più tardi nei suoi racconti a fumetti quel sentimento di fame di futuro, che seppur incerto, poteva ancora essere percepito come promettente. Non è un caso che le ultime tavole di Hypericon mostrino gli attacchi alle Torri gemelle del 2001 che i protagonisti, a un passo ormai dall’età adulta, seguono in tv seduti sul divano di una coppia di amici spagnoli.

Anche tra gli altri due libri in mostra i legami sono profondi e vistosi benché le soluzioni grafiche, soprattutto quelle inerenti al colore, siano diametralmente opposte. L’intervista (2013) e Celestia (2019, 2020) sono ambientate in città italiane, Udine e Venezia, mostrate da un futuro che più che fantascientifico, come l’autore ben spiega a colloquio con Bacci «è un salto a destra o a sinistra (…) una realtà esistente dalla quale partono molte diramazioni». Le ambientazioni sono fondamentali per Fior, che con la sua formazione di architetto riproduce edifici storici (le case di Frank Lloyd Wright o i castells del catalano Bofill) decontestualizzandoli e diramando appunto una realtà nota per crearne un’altra parallela e forse possibile. La protagonista de L’intervista, Dora, tornerà in Celestia con la sua telepatia che, come rilancia Fior nel catalogo «esiste, solo che la guardiamo da un punto di vista sbagliato». Più che un potere- parola cancellata in un balloon di Dora in una tavola originale de L’intervista, disegnato magistralmente con matita e carboncino- si tratta di una pratica. In un modo non troppo dissimile, l’autore immagina storie attraversate da molti generi e dalle infinite possibilità del reale e crea altre dimensioni in cui il sogno, così come la musica, la pittura e il cinema, ispirano intere sequenze.

Da fine marzo è in libreria la riedizione de I giorni della merla (Oblomov) il volume antologico che raccoglie dodici storie brevi di Manuele Fior pubblicate su riviste e quotidiani esteri e nazionali: risulta interessante apprezzare come segno e tecnica si pieghino al volere narrativo del racconto, alle temperature dei sentimenti che muovono i personaggi, alle atmosfere. Ci sono le cartoline da Oslo e dal Salento pubblicate su Internazionale (2007-2008) che svelano lo stile giovanile dell’autore e ricordano il tratto di Cinquemila chilometri al secondo pur dimostrando la sua maturità narrativa nel saper controllare e dare densità a una storia di appena due pagine. Una storia ancor più breve, uscita nel 2011 su Le monde diplomatique è Il pittore che contiene un aneddoto sulla vita del pittore Böcklin e c’è ovviamente il racconto che dà il titolo all’antologia, ambientato in quel futuro nel quale vive, o appare Dora con il suo potere telepatico. Ci sono racconti di realtà ispirati a vicende diverse- i documenti di un ospedale psichiatrico, i racconti di famiglia di due francesi originari del Laos, le proteste delle giovani militanti ambientaliste. Che maneggi la realtà della malattia mentale documentata, i ricordi di chi è fuggito da un paese occupato, o le proprie sensazioni dopo gli attentati del 2016 a Parigi (Come stiamo), Manuele Fior ha la capacità di dare al segno una carica emotiva precisa e dotare la storia di una scrittura accurata e tagliente, che scava nelle interiorità dei personaggi senza retorica né pedanteria (Aiuto! Hilfe! e Gita di classe) spesso mostrando il carattere nazionale a contatto con la realtà, le vicende e il modo di vivere in di altri paesi europei. È curioso constatare come questa strategia di slittamento sia comune a molte storie brevi e anche ai fumetti dell’autore in mostra a Pisa. Forse è questa la grandezza di Manuele Fior, che con tecnica impeccabile e versatile racconta spesso lo straniamento, inteso come vissuto onirico, o traslazione nello spazio o nel tempo di psicologie, caratteri e architetture ancorate in un immaginario culturale condiviso.