In alto mare e senza scorgere la terra neppure col binocolo. Nonostante l’ottimismo sparso a piene mani dai governanti la sensazione è che l’accordo con l’Europa, e di conseguenza la vera legge di bilancio, siano ancora circondati dalla nebbia fitta e tutt’altro che certi. A Bruxelles risuonano parole che hanno il sapore dell’ultimatum. «Da Roma non è arrivato niente e ci aspettiamo proposte che rispettino le regole. Ci vogliono impegni concreti e credibili. Servono cifre», sottolinea il commissario all’economia Pierre Moscovici. «Contiamo che il governo italiano faccia quanto necessario per rispettare il patto di stabilità. Il tempo è molto poco», aggiunge minaccioso il vicepresidente della commissione Valdis Dombrovskis. Ma quella proposta «in linea con le regole» l’Italia ancora non la ha messa a punto.

IERI CONTE, TRIA, i sottosegretari Giorgetti, Castelli e Garavaglia con il ministro per i Rapporti con il Parlamento Fraccaro hanno fatto il punto sul nodo cruciale degli investimenti, con l’obiettivo di spostare fondi su quel fronte come più volte richiesto dall’Europa. E’ un passo che sarà certamente accettato ma che difficilmente basterà a soddisfare la commissione. Il premier Conte, commentando l’incontro di ieri con i sindacati, anticipa che a Bruxelles porterà «una manovra in discontinuità con l’austerity». Un’affermazione che sarebbe credibile all’inizio di una trattativa, non alla fine e con tempi strettissimi.
L’incontro con i sindacati non ha prodotto niente né poteva essere diversamente in assenza di una manovra reale. La situazione rasenta in effetti i vertici dell’assurdità. A palazzo Madama, dove ieri la commissione bilancio ha iniziato a esaminare la legge di bilancio, è arrivato il testo di una manovra virtuale. Il termine per la presentazione degli emendamenti, a loro volta ipotetici, potrebbe essere anticipato a stasera o a domani mattina. Sempre senza che ci sia idea di quali siano i saldi reali.

OGGI CONTE sarà in aula alla Camera e poi al Senato, per riferire alla vigilia della riunione del consiglio europeo di domani. Al centro dell’intervento del premier dovrebbe essere proprio la proposta di accordo che presenterà domani a Jean-Claude Juncker (quasi certamente, dal momento che l’incontro non è ancora definitivamente confermato) e che la commissione si aspetta già strutturata e precisa. Né i senatori oggi né il presidente della commissione europea domani saranno accontentati. Quadrare il cerchio riuscendo ad accontentare la Ue e a salvare la faccia di fronte all’elettorato è infatti quasi impossibile, a meno che non sia proprio la commissione a rivedere smussandole le proprie richieste, che al momento sarebbero draconiane: derubricazione di quota 100 a una finestra per il 2019, una specie di una tantum per sanare definitivamente il disastro degli esodati, ridimensionamento drastico del reddito di cittadinanza, abbassamento del deficit sotto il 2%.

ENTRAMBI I VICEPREMIER confermano di aver dato mandato pieno a chi sulla carta dovrebbe guidarli, cioè a Conte, per trattare, che è cosa ben diversa dal presentarsi con una proposta già ben delineata. Luigi Di Maio ostenta massimo ottimismo: «Conte porterà a casa la manovra ed eviterà la procedura d’infrazione». Matteo Salvini è più prudente: «Per dialogare bisogna essere in due ma io sono ancora ottimista». In realtà i margini per un’intesa sono tornati a farsi molto stretti e in questa tempesta la Lega inizia a impostare una strategia diversa. In due giorni ha messo a segno uno dopo l’altro tre colpi ben poco amichevoli nei confronti dei soci del contratto di governo. Prima l’incontro con gli imprenditori al Viminale, salutato con entusiasmo dal presidente di Confindustria Vincenzo Boccia, poi il pranzo di ieri con i rappresentanti degli industriali lombardi e infine la proposta, sgraditissima in casa 5S, di referendum sul Tav.

SONO SEGNALI inequivocabili. L’apertura di credito degli industriali non è a costo zero e il prezzo è il sacrificio dei 5 Stelle, o almeno delle politiche care al Movimento. L’interesse palese del Carroccio è conseguente alle difficoltà nelle quali, comunque finisca la trattativa con Bruxelles, annaspa la «manovra del popolo» e sigla il prevalere della linea di Giancarlo Giorgetti. «I fatti però sono al Mise», commenta stizzito Di Maio. Ma gli industriali hanno già scelto.