Manni, nel duplice segno della complessità e dell’antagonismo
ANNIVERSARI Da Franco Fortini a Elio Pagilarani, un catalogo che sempre ha guardato alla peosia
ANNIVERSARI Da Franco Fortini a Elio Pagilarani, un catalogo che sempre ha guardato alla peosia
Fondata nel 1984 a San Cesario di Lecce da un letterato naturalmente incline all’engagement, Piero Manni, e da una raffinata filologa, sua moglie Anna Grazia D’Oria, la Manni Editori porta nel suo stesso codice genetico l’eredità dei vent’anni che ne precedono la nascita. E basterebbe l’insegna della rivista bimestrale che ne è battistrada, «l’immaginazione» (testata benemerita giunta oggi al numero 341), a richiamare il senso dell’unico potere, niente affatto costituito e perciò di libera inventiva, il solo che allora ammettessero quei giovani intellettuali consapevolmente eredi tanto del ’68 studentesco quanto del ’69 operaio. Manni è infatti e ab origine leggibile nel duplice segno della complessità e dell’antagonismo, dunque di una letteratura che sappia cogliere le contraddizioni dello stato di cose presenti e nello stesso tempo nitidamente riferirsi ad un quadro etico-politico che si potrebbe definire, nel complesso, di marxismo critico e perciò disposto a interagire con gli apporti delle scienze umane.
IN QUESTO la casa editrice ha saputo nei decenni, pur in presenza di una notevole espansione, mantenersi fedele alla prima radice anche nel lavoro delle eredi di Piero e Anna Grazia e cioè le due figlie Grazia e Agnese. Qui basterebbero i nomi di un Novecento recepito, e subito ospitato in catalogo, tra sperimentalismo e avanguardia con la presenza fra gli altri di autori quali Franco Fortini, Edoardo Cacciatore, Francesco Leonetti, Paolo Volponi, Edoardo Sanguineti, Giuseppe Bonaviri, Alfredo Giuliani, Antonio Porta, Andrea Zanzotto, Luigi Malerba, Elio Pagliarani cui via via si sono uniti anche i testimoni di un secolo spiritualmente inquieto e fra costoro Mario Luzi, Giorgio Caproni, Silvio Guarnieri, Enzo Siciliano e Alda Merini per tacere la presenza davvero straordinaria di Edmond Jabès. Ma citare, stralciando dei nomi dal catalogo di Manni, significa comunque peccare gravemente di omissione. Disciplina filologica e una precisa consapevolezza storica sono peraltro costitutive della casa editrice e qui basterebbe menzionare sia la presenza primordiale di Maria Corti, troppo presto perduta, e quella di uno storico della letteratura del valore di Romano Luperini, tuttora presente con una sua rubrica su «l’immaginazione».
CIÒ SPIEGA IL FATTO che Manni continui ad essere una vera e propria couche per la letteratura di ricerca ospitando fisionomie di diversa generazione tanto in prosa (da Mario Lunetta, Antonello Carbone, Roberto Piumini, Carlo D’Amicis a Bruno Gambarotta, Mario Desiati, Antonietta Langiu e Alberto Rollo) quanto in poesia: e al riguardo, basterebbe fare i nomi di Tommaso Di Francesco, Biagio Cepollaro, Marcello Frixione, Velio Abati, Carlo Bordini, Franco Buffoni, Valerio Magrelli, Alessandro Fo, Daniele Gorret, Cristina Alziati, Marco Ferri e, naturalmente, di un maestro quale Antonio Prete cui si deve dal 2023 la curatela di una serie dal titolo raffinatamente dantesco, «La pantera profumata» (Collana di poetica e poesia), che ospita bellissime auto-antologie di alcuni tra i maggiori poeti italiani come Eugenio De Signoribus, Umberto Fiori e da ultimo (Pietre di sosta, 2024) Enrico Testa. Né va dimenticata la saggistica letteraria e storico-sociale dove ai nomi storici di Gian Carlo Ferretti, Walter Pedullà, Giorgio Barberi-Squarotti, Angelo e Guido Guglielmi si aggiungono nel tempo quelli di Niva Lorenzini, Renato Barilli, Erminio Risso, Loris Campetti, Pasquale Voza unitamente ad opere di alto valore testimoniale che recano la firma, per esempio, di Luigi Ciotti, Tonino Bello, Alex Zanotelli e Pietro Ingrao.
NATA IN UN TEMPO improvvido, negli anni del riflusso e di una sconfitta epocale, fiorita in uno spazio allora fuorivia come il Salento, la storia e l’esistenza stessa di Manni Editori, se valutate retrospettivamente, richiamano oggi l’aforisma di un grande scrittore svizzero-tedesco, Ludwig Hohl (poco noto in Italia, ma starebbe benissimo nel catalogo di Manni), secondo cui «qualcosa di nuovo si vede nelle zone marginali, nei luoghi sfilacciati dei fenomeni secondari un segno sottile, una tensione impercettibile, una apparizione»: fino a che, finalmente, sono i margini a irrompere al centro. Ed è questo il caso.
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