Manet e Degas, due pittori della vita moderna: uno, di più
A Parigi, Musée d'Orsay, "Manet-Degas", a cura di Laurence des Cars, Stéphane Guégan e Isolde Pludermacher Epoca, moda, morale, passione: nel sistema dei confronti, sostenuto dall’alta qualità dei prestiti, Manet risulta il più baudelairiano
A Parigi, Musée d'Orsay, "Manet-Degas", a cura di Laurence des Cars, Stéphane Guégan e Isolde Pludermacher Epoca, moda, morale, passione: nel sistema dei confronti, sostenuto dall’alta qualità dei prestiti, Manet risulta il più baudelairiano
C’è un singolare dipinto di Edgar Degas nella mostra Manet-Degas in corso al Musée d’Orsay (fino al 23 luglio; poi al Metropolitan di New York), Monsieur et Madame Édouard Manet (1868-’69 ca.): Manet vi è ritratto seduto a gambe larghe sul divano di casa, scomposto, una mano in tasca, l’altra a sostenere la testa. Il pittore ascolta concentrato la moglie Suzanne Leenhoff che suona il piano. La particolarità del dipinto, di medio formato, sta nel fatto che la figura della donna seduta è tagliata crudamente all’altezza della tempia: vediamo la schiena, la chioma, un orecchio di Suzanne, ma il resto è stato amputato. La porzione di tela grezza a destra, su cui affiora quasi invisibile il fantasma di un restauro mai davvero iniziato, è stata aggiunta dall’autore, in anni molto successivi.
Degas aveva dipinto il doppio ritratto dei coniugi Manet alla fine degli anni sessanta e aveva donato o scambiato il quadro con l’amico. Dopo qualche tempo, tuttavia, Manet aveva trovato qualcosa che non andava nel profilo di sua moglie: Suzanne aveva un naso importante che, quando era toccato a lui ritrarla, Manet non aveva fatto niente per ingentilire. A quanto pare tuttavia non era incline a concedere ad altri analoga libertà; così un bel giorno tagliò dal quadro di Degas la parte che lo infastidiva e, come se niente fosse, lo montò su un nuovo telaio. Degas, che non era di buon carattere, andò su tutte le furie, si riprese il quadro e lo tenne così com’era fino almeno al 1895, ben oltre la morte di Manet. Solo in seguito aggiunse la striscia di tela a destra, ma infine rinunciò a riparare il danno, prodotto da un atto di violenza sorprendente, se si considera che Manet fra i due era l’uomo di mondo, tanto lieve, spiritoso e ironico, quanto Degas era cupo, solitario e scontroso.
Manet e Degas, separati da soltanto due anni (il primo era nato nel 1832 e il secondo nel 1834) ed entrambi appartenenti alla buona borghesia parigina, si incontrarono la prima volta all’alba degli anni sessanta al Louvre, di fronte all’Infanta Margherita di Velázquez (e scuola), che Degas copiava lavorando direttamente sul rame per trarne un’incisione. È una fase in cui la pittura spagnola del Secolo d’Oro è un modello molto presente nell’avanguardia francese e spagnoleschi sono il Guitarrero di Manet (1860) e il doppio ritratto degassiano di Lorenzo Pagans assieme al vecchio padre dell’artista (1871-’72). Il chitarrista di Manet è un tipo umano più che un ritratto: seduto in una posa instabile su una panca verde, suona con la sinistra uno strumento incordato per la mano destra, in un ambiente privo di connotati riconoscibili e illuminato in modo innaturale. La natura morta in basso a destra, una brocca e due cipolle, è uscita non dalla dispensa, ma da un bodegon spagnolo del Seicento e rende manifesta un’artificialità che nel quadro di Degas invece si nasconde: qui l’ambiente è riconoscibile, i ritratti dei due protagonisti sono umanamente credibili e Pagans sembra cantare per davvero, mentre il guitarrero sembra soltanto tenere la bocca aperta, a beneficio del pittore.
La mostra, a cura di Laurence des Cars, Stéphane Guégan e Isolde Pludermacher, offre continuamente la possibilità di confronti del genere, grazie alla ricchezza delle scelte, operate nei musei di tutto il mondo: è quindi un’occasione imperdibile per chi ami l’alba della pittura della vita moderna in Francia. Quanto diversa, per esempio, è la Ellen Andrée di Dans un café (o L’absinhte, 1875-’76; Parigi, Musée d’Orsay), esposto da Degas alla terza mostra degli impressionisti (1877), dalla stessa Ellen raffigurata da Manet ne La Prune (1877 ca.; Washington, National Gallery). Nel primo quadro la graziosa attrice è trasformata in una lavoratrice del sesso seduta al tavolino di un caffè, solitaria e rintontita, con le palpebre pesanti, accanto a un artista (anch’egli amico di Degas), Marcelin Desboutin, ritratto mentre fuma, distratto, col cappello all’indietro sulla testa. Nel quadro di Manet invece Andrée è una bella ragazza vestita di rosa, di fronte a una prugna al brandy, una sigaretta fra le dita, la guancia appoggiata sulla mano e lo sguardo perduto nel nulla: una melanconia frivola, deliziosa e assolutamente moderna. Il confronto, spesso proposto sui libri, in presenza dei dipinti diventa vivo.
Come mostra l’episodio riferito all’inizio, l’amicizia fra i due artisti, protrattasi dai primi anni sessanta al 1883, data della morte di Manet, fu intensa, ma complicata: i due avevano condiviso alcune tappe importanti. La prima parte della mostra dice, in modo non equivocabile, quanto sia stato Manet a rompere il ghiaccio e a seguire per primo la difficile strada della pittura della vita moderna, indicata da Charles Baudelaire fin dal 1846, e a rifarsi a una nuova idea di bellezza fondata su «l’epoca, la moda, la morale, la passione». Quattro parole che, pronunciate nelle pagine iniziali de Il pittore della vita moderna (1863), aprivano a un’arte non modellata su criteri assoluti di ortodossia formale e tecnica, ma ispirata alla transitorietà dell’esperienza moderna. Anche Degas, più degli altri partecipanti alle mostre impressioniste, seguì questa strada, ma viene da chiedersi se, privo dell’esempio dei primi e fondamentali quadri di vita moderna di Manet, egli si sarebbe deciso a varcare quella soglia. Mentre nella prima metà degli anni sessanta Manet dipinge la Chanteuse de rue o il Déjeuner sur l’herbe, Degas ancora traveste il presente con gli abiti della pittura di storia, e allude alla costruzione della Parigi di Napoleone III mediante la figura di Semiramide di fronte alla nuova Babilonia, o si riferisce alle violenze dell’esercito nordista a New Orleans in un misterioso quadro neomedievale intitolato Scène de guerre au Moyen Âge. A New Orleans Degas aveva famiglia ed era schierato con i confederati; Manet faceva invece il tifo per l’Unione e dipinse la battaglia navale svoltasi fra le navi da guerra Alabama e Kearsarge al largo di Cherbourg nel 1864, vinta dai nordisti. Durante la guerra franco-prussiana, inoltre, i due pittori avevano preso entrambi parte alla difesa di Parigi. Molte cose, quindi, li legavano. Manet, tuttavia, rifiutò di partecipare alle mostre impressioniste perché era convinto che la partita con l’apparato ufficiale dell’arte francese del suo tempo andasse giocata dall’interno; Degas, benché politicamente il più a destra fra gli impressionisti, era invece persuaso (per rubare le parole a uno slogan di altri tempi) che quel sistema non si potesse cambiare, ma soltanto abbattere.
Nello scorrere i capolavori che si susseguono sala dopo sala al Musée d’Orsay, salta agli occhi una distinzione dominante. Non tanto l’esistenza del contrasto fra una linea disegnativa (Ingres-Degas) e una coloristica (Delacroix-Manet) nell’avanguardia francese di quegli anni: anche Degas deve molto a Delacroix. La differenza fra i due sta piuttosto in un senso diverso del rapporto tra pittura e modernità: per Manet quest’ultima ha una qualità artificiale e ambigua, una fatuità spettacolare che egli esprime presentandoci una quantità di rapporti difficili e alienati fra le persone, le classi sociali, fra gli esseri umani e la natura… Bravura e leggerezza del tocco sono i mezzi di una pittura che avverte l’inafferrabilità del presente e l’inautenticità, ormai, del rapporto con il mondo. Degas pensa invece di poter ancora fermare quel mondo instabile, di capirlo disegnando e dipingendo. Egli insiste sugli stessi motivi di Manet e li sviluppa in suite o serie: ballerine, stiratrici, modiste, cavalli, poi nudi… Su questi ultimi un paradosso. Paul Valéry ricorda che Degas gli aveva riferito una volta un motto di Ingres: «I muscoli sono miei amici, ma ne ho scordato i nomi». Malgrado la sconfinata ammirazione di Degas per Ingres, nei suoi nudi o ballerine, i muscoli sono tutti lì, a rispondere all’appello uno per uno, mentre è Manet, ad esempio nell’Olympia, ad averli del tutto dimenticati.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento