La moda boccaccesca che nell’immaginario popolare investe di frizzi e lazzi la Mandragola di Machiavelli, sfuma in una lettura più consapevole (politicamente coeva alla stesura del Principe) nell’allestimento di Giacomo Giuntini per il Teatro Due. Con che occhio guardare gli intrighi di Callimaco? La prospettiva di Giuntini è rinascimentale: si affaccia dalle finestre dei palazzi, spiaggiate sulla scena come labirinti celibi, e innesta un «concertar parlando» che, musicalissima eco, rivela l’antico fascino del testo machiavellico. Scelta felice che esalta i contributi attoriali (coralità, ritmo, simmetrie), cancella ogni naturalismo e trasferisce sull’arena del rituale carnevalesco e l’opulenta trama. Che si specchia nella iconica postura dei coniugi Arnolfini di van Eyck come entroterra di una borghesia in stato di grazia e benessere rampante. Nel 1498 fra’ Savonarola finiva sul rogo. In piazza della Signoria, spettatore ventenne, c’era anche Machiavelli. Che nel Principe lo avrebbe definito «profeta disarmato». L’esperienza popolare della Repubblica fiorentina continua a covare fra le pagine della Mandragola. Bene ha fatto Giuntini a rievocarla.