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Mancano gli «uomini di una volta»?

In una parola Naturalmente «nulla sarà come prima», nel senso di qualcosa che vada un po’ meglio, può essere una pia illusione. Mi sembra altrettanto possibile che le cose vadano peggio. E non […]

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 12 maggio 2020

Naturalmente «nulla sarà come prima», nel senso di qualcosa che vada un po’ meglio, può essere una pia illusione. Mi sembra altrettanto possibile che le cose vadano peggio. E non solo perché affronteremo una dura crisi economica, occupazionale ecc. Anzi, la stiamo già vivendo.

I primi sintomi del peggioramento non mancano. Un breve elenco: gara di tweet e reazioni piccate nel governo intorno a una faccenda seria e complessa come la liberazione di Silvia Romano. Gara di nefandezze sulla stampa di destra (ma non solo) sempre a proposito di Silvia. Aumento esponenziale delle baggianate tra i cosiddetti «governatori» in vista di vacanze difficili per tutti (cito l’idea del «braccialetto vibrante» promesso dal ligure Toti, per garantire il metro di sicurezza sulle spiagge…).

Indecorosa polemica retrospettiva tra un magistrato e un ministro su una questione altrettanto delicata e fondamentale come i diritti dei carcerati, il ruolo delle mafie e l’indipendenza della magistratura, ora affrontata col solito decreto propagandistico, con ben scarso (per fortuna?) effetto normativo. E tutto ciò solo per rimanere nel nostro orticello. Se appena allunghiamo lo sguardo intorno a noi (Turchia, Libia, Siria, Egitto ecc.) vediamo purtroppo molto di peggio e di tragico.

Rischio di ripetermi, ma non riesco a non far caso al fatto che in tutto ciò hanno un ruolo determinante persone di sesso maschile, che mettono in scena una sostanziale miseria, culturale, politica, comportamentale. Ingigantita nelle situazioni dove si imprigionano e torturano i dissidenti, si fa la guerra, persino mobilitando bambini-soldato.

Nessun «essenzialismo» per carità. Ma credo che davvero il problema dei problemi sia la pervasiva crisi dell’autorità maschile che ci accompagna ormai da tempo. Molte donne e molte parole del femminismo ce lo ricordano quasi tutti i giorni. Ma la nostra resistenza a trarne conseguenze non effimere resta molto forte. Né si tratta di rimpiangere i «veri uomini di una volta».

Ma non mancano eccezioni che direi incoraggianti.

Proprio un magistrato, famoso per il ruolo che ha svolto nel «pool» milanese di «mani pulite», Gherardo Colombo, ha dato una interessante intervista nei giorni scorsi all’Huffington Post, in cui, partendo da profondi sentimenti personali, ha teorizzato l’insostenibilità del carcere come pena e correttivo del crimine: «L’idea di mandare in galera una persona mi tormentava, mettendomi davanti a interrogativi insolubili e angosciosi. Ho cominciato a pensare che il carcere non fosse più compatibile con il mio senso della giustizia, la mia concezione della dignità umana, la mia interpretazione della Costituzione. Più che pensare, in realtà sentivo: sentivo tutta l’ingiustizia della prigione. Era ormai intollerabile. Perciò, dopo anni passati a pensarci, ne ho tratto tutte le conseguenze».

Altro che gli scambi con rilevanza penale tra Di Matteo e Buonafede…

Molto toccante poi il racconto che Pietro Ichino ha fatto sul suo blog della lunga malattia e della morte della moglie Costanza: «Riguardando indietro a questi ultimi due anni – ha scritto tra l’altro – nei quali la malattia ha infierito più duramente su Costanza, e di riflesso su chi la assisteva, non ho solo una memoria di sofferenza: è stato forse il periodo più ricco e intenso di tutto il nostro matrimonio, che pure, nell’arco dei quasi cinquant’anni della sua durata, è stato straordinariamente ricco di vita e di lavoro comune». Non so se e che cosa pensino Colombo e Ichino sul punto che cerco di sollevare. Ma credo che le loro parole e azioni potrebbero aiutarci a comprenderlo meglio.

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