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Manama, giustiziati due giovani oppositori di re Hamad

Manama, giustiziati due giovani oppositori di re Hamad

Bahrain Erano stati condannati a morte per "atti di terrorismo" e per omicidio ma i centri per i diritti umani denunciano torture e confessioni estorte con la forza

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 28 luglio 2019

Maryam al Khawaija, nota attivista bahranita, risponde subito alla nostra richiesta di contatto. Desidera denunciare ovunque e con forza l’esecuzione di due prigionieri politici (e di un criminale comune) avvenuta nella notte tra venerdì e sabato nella prigione di Jaw, a Manama. «Ali al Arab, 25 anni, è stato sottoposto a scosse elettriche, gli sono state estratte con le pinze le unghie dei piedi e ha firmato la confessione mentre era bendato» dice al manifesto. «Al 24enne Ahmed al Malali – aggiunge – hanno sparato due volte durante l’arresto e le pallottole sono state rimosse solo dopo 23 giorni. È stato poi detenuto per due mesi senza alcun contatto con l’esterno. Questi due giovani avevano firmato le confessioni sotto tortura».

Invece per i giudici e il re sunnita Hamad bin Isa al Khalifa, che ha ratificato le condanne a morte, al Arab e al Malali erano responsabili di «atti di terrorismo» e dell’omicidio di un imam e di un agente di polizia. La loro colpevolezza è stata sentenziata nel 2018 in un procedimento-farsa che ha coinvolto altre 56 persone, tutte poi condannate al carcere con pene che vanno da 15 anni all’ergastolo. Uno di quei processi di massa contro gli oppositori politici – quasi sempre sciiti e descritti tutti come “terroristi” al servizio dell’Iran – che vanno di moda in Bahrain e che ricordano quelli organizzati in Egitto dal regime di Abdel Fattah el Sisi, alleato di re Hamad. Alle accuse contro al Arab e al Malali non credono anche le organizzazioni internazionali per la difesa dei diritti umani, tra cui Amnesty International e Human Rights Watch, che senza successo hanno esortato il Bahrain a sospendere l’esecuzione dei due giovani che descrivono come attivisti e non “terroristi”. Non è servito a fermare il boia neanche l’appello lanciato da Agnes Callamard, la relatrice speciale delle Nazioni Unite per i diritti umani.

Nel marzo 2011 truppe dell’Arabia Saudita e degli Emirati entrarono in Bahrain in soccorso di re Hamad e misero fine al presidio permanente sorto in Piazza della Perla, a Manama, a sostegno delle riforme democratiche e dei diritti negati alla maggioranza sciita della popolazione, dominata dalla minoranza sunnita che fa riferimento alla monarchia. Quella violenta repressione causò oltre cento morti e centinaia di feriti. In seguito, dopo un lungo e inutile negoziato tra regime ed opposizioni, sono stati arrestati migliaia di cittadini e leader politici con l’accusa di “terrorismo” e di voler rovesciare la monarchia.

Re Hamad agita il fantasma del complotto iraniano per giustificare la repressione. E i paesi occidentali sono dalla sua parte, incuranti della brutalità del regime. «Anche l’Italia» protesta Maryam al Khawaja «l’ambasciatore del Bahrein a Roma scatta foto assieme a membri del governo (italiano) e l’università La Sapienza di Roma ha intitolato una cattedra in onore del Bahrain per la sua tolleranza religiosa sorvolando sul fatto che re Hamad perseguita un gruppo religioso, gli sciiti».

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