Europa

A La Valletta l’Europa ritrova l’unità a spese dei migranti

A La Valletta l’Europa ritrova l’unità a spese dei migranti

Il muro di Malta Via al piano italiano per fermare le carrette in partenza dalla Libia. Soldi e mezzi al leader libico, che però non controlla il paese

Pubblicato quasi 8 anni faEdizione del 4 febbraio 2017

A questo punto c’è solo da sperare che la stretta sui migranti voluta dall’Europa per impedire loro di partire dalla Libia, non finisca per soffocarli. Il rischio non solo esiste, ma è anche probabile se non addirittura scontato.

Il primo passo perché questa accada è stato fatto ieri nel vertice dei capi di Stato e di governo che si è tenuto a Malta. I 28 leader europei hanno sostenuto il piano messo a punto dall’Italia Roma e che prevede di affidare alla Guardia costiera libica il compito di riportare indietro i barconi carichi di disperati, mentre le navi della missione europea controlleranno dal limite delle acque internazionali. Sono inoltre previsti aiuti economici sia alle comunità locali costiere, che alle tribù che popolano il sud del paese e che l’Unione europea spera di coinvolgere nel contrastare i migranti provenienti dal Corno d’Africa attraverso Ciad e Sudan. Tribù nomadi che, ha ricordato ieri il premier maltese Jospeh Muscat, oggi guadagnerebbero fino a «sei milioni a settimana» aiutando le organizzazioni criminali che trafficano in migranti e con le quali, sempre secondo Muscat, sarebbero già stati avviati dei contatti. In che modo questa gente potrà fermare i migranti, sembra essere per tutti un problema secondario. E questo anche se la Ue si impegna a migliorare le condizioni di vita dei centri nei quali migliaia di migranti vengono tenuti prigionieri, anche con l’aiuto dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) e dell’Unhcr, l’Alto commissariato Onu per i rifugiati. Ma mentre l’Oim già la prossima settimana potrebbe essere a Tripoli per effettuare i primi sopralluoghi, qualche resistenza ci sarebbe da parte dell’Unhcr. Non ha caso ieri l’organismo dell’Onu ha sottolineato i rischi di un piano che si limita a parlare genericamente di migranti senza considerare la posizione dei rifugiati.

Per finire ci sono poi i capitoli relativi alla fornitura di mezzi (sono previste otto motovedette per la futura guardia costiera insieme a droni per il controllo delle frontiere, equipaggiamenti, infrastrutture e training di addestramento) e al finanziamento del piano. E qui si rilevano altri problemi. In attesa che il parlamento europeo decida sui fondi da stanziare per i migration compact (fino a 40 miliardi di euro) per ora di fatto ci sono solo 200 milioni di euro. Pochi, come non ha mancato di far notare il premier libico Fayez al Serraj parlando nei giorni scorsi sia con il premier italiano Paolo Gentiloni che con il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk.

Proprio Gentiloni ieri a Malta non tratteneva la soddisfazione per i consensi ricevuti dai partner europei al piano italiano. In realtà quella di Roma e Bruxelles è una scommessa dagli esiti molti incerti. Intanto perché tutto si basa sulla tenuta di Serraj, nella speranza che il riconoscimenti che gli arrivano da interlocutori internazionali possano aiutarlo a rafforzarsi. Ammesso e non concesso che questo avvenga si tratta sempre di un premier che controlla un’area ristrettissima del paese. E anche la nuova Guardia costiera libica, che da ottobre viene addestrata dalla missione europea Sophia, potrà controllare solo poche miglia delle coste libiche.

C’è poi il problema non trascurabile della sorte dei migranti. Che fine fanno quelli riportati indietro dalla Marina libica? Serraj può garantire l’accesso alle organizzazioni internazionali solo in una minoranza dei 24 centri di detenzione presenti nel paese, quelli che si trovano in Tripolitania, regione solo in parte controllata dal governo di accordo nazionale che presiede. Tutti gli altri, compresi le centinaia di magazzini e hangar dove i trafficanti tengono prigionieri in condizioni disumane uomini, donne e bambini, sono e restano fuori controllo. Senza contare che, proprio in vista di un’attuazione del piano europeo, le bande criminali stanno già organizzando nuove rotte, compreso un passaggio a est della Libia nella parte controllata dal generale Haftar amico dell’Egitto e della Russia. Mettendo così di fatto il traffico di migranti nelle sue mani. E rendendo così l’Europa più ricattabile di quanto non lo sia oggi.

Nel vertice di La Valletta i 28 si sono trovati d’accordo nell’intensificare i rimpatri dei migranti irregolari (ma accordi in tal senso esistono solo con quattro paesi), sorvolando però sui ricollocamenti europei ancora al palo. Una «rigidità», come l’ha definita lo stesso Gentiloni, sulle quali l’Europa non sembra intenzionata a cedere. All’ultimo minuto, invece si è riusciti a cancellare dal documento finale del vertice ogni riferimento alla riforma di Dublino. La formula utilizzata inizialmente non piaceva all’Italia che è riuscita a farla togliere grazie all’aiuto del premier greco Tsipras. La proposta che gira da tempo in Europa continua a penalizzare i paesi di primo sbarco contrariamente a quanto vorrebbero Italia, Grecia e la stessa Malta. Ma su questo l’unanimità dimostrata dai leader nel fermare i disperati in Libia, si subito persa.

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