Malak è libera
Cisgiordania Occupata La 14enne palestinese, arrestata il 31 dicembre, era stata condannata a due mesi di carcere e una multa per aver lanciato sassi alle auto dei coloni. La sua vicenda ha fatto riemergere l'abuso a danno dei minori palestinesi che, una volta arrestati, sono giudicati da corti militari a differenza dei loro coetanei israeliani.
Cisgiordania Occupata La 14enne palestinese, arrestata il 31 dicembre, era stata condannata a due mesi di carcere e una multa per aver lanciato sassi alle auto dei coloni. La sua vicenda ha fatto riemergere l'abuso a danno dei minori palestinesi che, una volta arrestati, sono giudicati da corti militari a differenza dei loro coetanei israeliani.
Malak al Khatib, 14 anni, ieri ha ritrovato il calore della sua famiglia. Uscita dal carcere, è stata lasciata dalle autorità israeliane a un posto di blocco nei pressi di Tulkarem, dove ha trovato ad accoglierla amici e parenti. Abbracci, qualche lacrima, finalmente è tornata a sorridere. La ragazzina palestinese è salita su di un’auto che l’ha portata al suo villaggio, Beitin, vicino Ramallah, dove è stata festeggiata per ore. Per la legge che l’esercito israeliano applica nella Cisgiordania occupata, Malak non è poco più di una bambina. E’ una terrorista. La ragazzina era stata arrestata il 31 dicembre. Lanciava pietre alle auto dei coloni israeliani che transitavano non lontano da casa sua. In tasca, ha detto la procura militare, aveva un coltello che forse pensava di usare. I giudici l’hanno condannata a due mesi di prigione e a pagare una multa salata. «Ha confessato», comunicò poco dopo l’arresto una portavoce militare. Il padre rispose che «Una 14enne circondata da soldati e messa sotto pressione confessa tutto ciò che si vuole».
Il clamore suscitato dal suo caso ha permesso a Malak di tornare a casa qualche giorno prima. Ma non saranno altrettanto fortunati gli altri minori palestinesi, circa 200 (tra cui quattro donne) secondo i dati dell’Associazione dei Prigionieri Palestinesi, al momento in carcere in Israele. Tutti giudicati da tribunali militari. Ogni anno in Cisgiordania Israele arresta, e in non pochi casi detiene, tra i 500 e i 700 ragazzi palestinesi, quasi sempre per lancio di pietre contro le auto dei coloni e i veicoli dell’esercito. Minorenni che vengono giudicati dalle corti militari a differenza di ciò che accade in Israele dove un ragazzo è processato e giudicato, anche per reati gravi, dai tribunali per minori. Una situazione che non suscita indignazione in Israele, se si escludono alcune eccezioni. Neppure presunti alfieri della libertà di pensiero e della democrazia scendono in campo per chiedere che venga scritta la parola fine su questo abuso. In questi ultimi giorni, ad esempio, il mondo della cultura in Israele, inclusi scrittori famosi come Amos Oz, Avraham Yehoshua e David Grossman, miti anche della sinistra occidentale, hanno contestato con forza l’intervento a gamba tesa del premier Netanyahu nella composizione della giura del Premio di Israele per la Letteratura. «La mossa di Netanyahu è un sotterfugio cinico e distruttivo che viola la libertà di spirito, il pensiero e la creatività di Israele. Io rifiuto di cooperare con questo», ha dichiarato Grossman. Lo scrittore israeliano, tenace avversario della destra, dovrebbe ricordare che diritti e la libertà non escludono i palestinesi e che i Territori occupati non sono la giungla. Potrebbe perciò intervenire per chiedere che non siano dei militari a giudicare i ragazzi della Cisgiordania, in modo da mettere fine alla discriminazione tra minori israeliani e palestinesi di fronte alla legge.
Secondo “Defence for Children International-Palestina” (Dcip), la giustizia militare nei Territori occupati ha come finalità principale quella di estorcere delle confessioni. Una ricerca svolta dalla ong ha calcolato in 15 giorni il tempo medio trascorso in isolamento da un minore palestinese arrestato dalle autorità militari. In un caso un ragazzino è rimasto da solo in cella per 26 giorni. Tra il 2012 e il 2014, 54 minori palestinesi sono stati tenuti in isolamento prima di essere accusati di un reato. In non pochi casi, prosegue la ong, i bambini sono stati privati di assistenza legale e non informati sui loro diritti. A differenza dei loro coetanei israeliani, denuncia Dcip, gli adolescenti palestinesi non hanno il diritto di essere accompagnati da un genitore durante un interrogatorio. Molti dei giovanissimi detenuti confessano, per evitare altri interrogatori e giorni di isolamento. In più di un quarto dei 2.014 casi esaminati da Defence for Children International-Palestina, i ragazzi hanno firmato dichiarazioni in ebraico, una lingua che non capivano. Secondo Ayed Abu Eqtaish, direttore di Dcip, «Il sistema israeliano di detenzione militare sottopone i bambini palestinesi a diversi giorni di interrogatori e all’isolamento con l’obiettivo di ottenere una confessione a tutti i costi…I tribunali militari poi ammettono queste confessioni come prove per condannare questi bambini». Dcip denuncia anche la mancata adozione di misure restrittive o punitive da parte della autorità militari nei confronti dei responsabili di abusi sui minori palestinesi
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