Maiolino, antropofagia nell’atto del fare
A Milano, Padiglione d'Arte Contemporanea, la mostra di Anna Maria Maiolino "O amor se faz revolucionário" Protagonista dell’avanguardia brasiliana anni sessanta, ha messo il suo corpo a disposizione, contro dittature e ottundimento sociale
A Milano, Padiglione d'Arte Contemporanea, la mostra di Anna Maria Maiolino "O amor se faz revolucionário" Protagonista dell’avanguardia brasiliana anni sessanta, ha messo il suo corpo a disposizione, contro dittature e ottundimento sociale
Nel secondo Novecento l’America meridionale ha vissuto una storia travagliata: Argentina, Cile, Uruguay sono stati teatro di drammatiche vicende politiche, a cui ha non di meno corrisposto un proliferare di forme artistiche, che però restano ancora oggi relativamente poco note. Ciò vale anche per il Brasile, che tra la metà degli anni sessanta e quella degli Ottanta ha sopportato una feroce dittatura militare, durante la quale l’arte è tuttavia riuscita a trovare il modo non solo di continuare a esistere, ma persino di affrancarsi dai modelli europei. La pietra angolare della modernità brasiliana è il celebre Manifesto Antropofago (1928) del poeta Oswald de Andrade, secondo cui l’identità culturale del Paese si è definita cannibalizzando, ossia assimilando e rigurgitando, i patrimoni di conoscenze dei grandi stati colonialisti. Assorbimento del nemico sacro. De Andrade rivendica con ironia l’orgoglio della cultura indigena e ribalta la visione etnocentrica dell’Occidente, mettendone in questione la presunta purezza.
L’antropofagia ha influenzato intere generazioni di artisti e intellettuali, e nella sua riformulazione degli anni sessanta è servita a sostentare, collegando cultura popolare e comunicazione di massa, la reazione al terribile clima conseguente al colpo di stato del 1964. Ciò è evidente in una storica mostra collettiva, Nova Objetividade Brasileira, Rio de Janeiro 1967, corredata da una dichiarazione programmatica, la Declaração de princípios básicos da vanguarda. Tra i firmatari – oltre a Lygia Clark, Hélio Oiticica, Lygia Pape, Antonio Dias e altri – c’era anche Anna Maria Maiolino.
Il PAC di Milano, che sotto la direzione di Diego Sileo ha il merito di interessarsi da anni all’arte dell’America del Sud, dedica ora (e fino al 1 settembre) a Maiolino una retrospettiva dal titolo O amor se faz revolucionário. A cura dello stesso Sileo (catalogo Silvana Editoriale, pp. 376, euro 34,00), essa presenta oltre 400 opere, incluse alcune mai esposte prima, che illustrano il vasto repertorio di temi e mezzi espressivi dell’artista, e offre pertanto un’esauriente panoramica su una delle personalità più rilevanti dell’arte brasiliana contemporanea. Di Maiolino in Italia si conoscono soprattutto i lavori fotografici, in particolare Por um fio (1976) – ritratto dell’artista con la madre e la figlia, unite tra loro da un filo che tengono in bocca – e Vida Afora, serie basata sulla performance Entrevidas (1981) – in cui il performer cammina in mezzo a una distesa di uova sparse a terra. Ma quella di Maiolino è una carriera complessa, con una produzione ampia e multiforme, una continua sperimentazione di materiali e tecniche. Incisioni, disegni, dipinti, sculture, foto, video, performance e installazioni: con l’eccezione di alcuni nuclei tematici, i lavori in esposizione sono ordinati per decadi e la rassegna si snoda a ritroso nel tempo, muovendo dalle ultime realizzazioni per risalire fin oltre gli esordi.
Nata nel 1942 a Scalea, in Calabria, Maiolino emigra dodicenne con la famiglia prima in Venezuela, a Caracas, e quindi nel 1960 a Rio de Janeiro. «Nel giro di poco tempo dal mio arrivo in Brasile ebbi modo di confermare quello che avevano detto i miei professori di Caracas, cioè che avrei incontrato un’arte speciale, molto diversa da tutto il resto dell’America Latina». A Rio, Maiolino frequenta l’atelier di xilografia della Escola Nacional de Belas Artes e aderisce al movimento della Nova Figuração, al quale partecipa anche Rubens Grechman suo futuro marito. Nel 1964 tiene la sua prima esposizione individuale presso la Galeria G, a Caracas. Salgono i militari al potere e nel frattempo Maiolino contribuisce all’evoluzione del Neoconcretismo, facendo propria la necessità di una dimensione etica dell’opera attraverso il corpo, la partecipazione e la rappresentazione. In tal senso, risultano per lei determinanti i contatti con Clark e Oiticica. «Ricordo che poco prima della realizzazione dell’esposizione Nova Objetividade Lygia (Clark) iniziò a venire spesso a trovarci. Io restavo incantata nel sentirla parlare dell’immanenza e di come la poesia si manifesti nell’atto del fare, essendo l’atto del fare l’opera stessa, senza separazione tra soggetto e oggetto». È un’apertura radicale, per la quale, come recita la Declaração, l’avanguardia assume una chiara posizione rivoluzionaria ed estende la propria manifestazione a tutti campi della sensibilità e della coscienza umana. L’esistenza palpabile della vita.
A questo periodo appartiene l’iconica Glu Glu Glu (1967), che presenta il tronco di una figura smembrata a bocca aperta, con l’apparato digerente in vista: deglutizione e assimilazione, un richiamo all’antropofagia, nonché un’irriverente riflessione su consumismo, mercificazione, cibo e fame.
La promulgazione dell’AI-5, istituito dal governo militare nel dicembre 1968, segna una nuova fase di compressione delle libertà individuali, con arresti, violenze e morte. E «in tempi di repressione e tortura, tutti i corpi diventano uno solo nel dolore». Ciò si riverbera nel lavoro dell’artista che, al rientro a Rio nel 1971 dopo un faticoso soggiorno di qualche anno a New York, inaugura una stagione di grande fervore sperimentale, durante la quale nascono opere anticonformiste e di forte carica politica. Tra queste il video In-Out (Antropofagia) (1973-’74), le foto É o que Sobra (1974), le carte strappate delle serie Desenho Objeto (1975) e la già citata Por um fio. O ancora, l’installazione Monumento à Fome, esposta nel 1978 nell’ambito di Mitos Vadios, happening collettivo celebrato per le strade di São Paulo e organizzato in polemica con la I Bienal Latino-Americana, che aveva come tema «miti e magie». E «come parlare di miti e magie dopo i tanti morti in America Latina a causa delle dittature?».
Poi la svolta democratica del Paese promuove un graduale riassetto nell’orizzonte creativo di Maiolino, che tende a sublimare le tensioni politiche degli anni precedenti. Dapprima lavora sull’iconografia dell’«uovo», quale simbolo di precarietà nella speranza del cambiamento. Quindi si concentra sulla ricerca di un segno essenziale, sia in pittura che in senso plastico. Suggestive le grandi tele degli anni novanta e duemila; notevoli e scenograficamente ben allestite le sculture e la serie dei disegni ricamati, Indícios (2000-2003).
Osservata nella sua estensione, l’arte di Maiolino è un felice esempio di vitalità di fronte ai vari e iniqui aspetti di una realtà sociale vestita ed opprimente.
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