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Mai come stavolta è «primo» il partito del non voto

Crescita dell’astensionismo forse oltre la fisiologicità del fenomeno ricorrente nel passato per le elezioni europee, nuova espressione di fortissima volatilità elettorale, esaurimento del «centro» e della «sinistra» con un chiaro […]

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 30 maggio 2019

Crescita dell’astensionismo forse oltre la fisiologicità del fenomeno ricorrente nel passato per le elezioni europee, nuova espressione di fortissima volatilità elettorale, esaurimento del «centro» e della «sinistra» con un chiaro spostamento a destra come segno dei tempi di netta contrapposizione; forte dispersione di voti a causa di una soglia di sbarramento molto alta e quindi sostanziale deprivazione della rappresentanza. Sono questi principali fattori che emergono dall’analisi del voto italiano al riguardo del Parlamento Europeo svoltesi il 29 maggio 2019 e che richiamano la necessità di un’analisi disomogenea comprendendo in questa i dati sia delle due tornate europee sia di quella politica del 2018.

Ne è uscita un’Italia spaccata in due: con la Lega egemone fino a Campobasso e il M5S che cerca di reggere da Caserta in giù; in mezzo a questa geografia dai termini bipolari ribaltati rispetto alle politiche 2018 qualche minuscola “enclave” segna, in Emilia e in Toscana, la precaria presenza del Pd. Si evidenzia un passaggio diretto di voti tra Forza Italia e Fratelli d’Italia (con la seconda che si rafforza evidentemente). In diverse regioni Fratelli d’Italia scavalca Forza Italia (Veneto, Friuli, Marche, Umbria, Lazio). Quindi non appare automatico un passaggio diretto tra Forza Italia e la Lega. La Lega in diverse situazioni attinge dal serbatoio M5S, piuttosto che da Forza Italia.

Il M5S invece sicuramente ha approvvigionato l’astensione. Si sta profilando quindi uno spostamento a destra dell’elettorato italiano in una dimensione molto più consistente di quanto non appaia a prima vista. Lega e M5S risultano protagoniste della volatilità elettorale in entrata e in uscita con dimensioni molto spesso superiori al 50%. Siamo di fronte al fenomeno di milioni di elettrici ed elettori che non riescono a votare la stessa lista per due elezioni consecutive, neppure a distanza di un anno tra un’elezione e l’altra.

Per tutta la giornata di domenica è stata venduta la favola della crescita della partecipazione. In realtà anche rispetto alla già deprimente partecipazione al voto del 2014 verifichiamo un’ulteriore contrazione. Le europee si sono ancora una volta rivelate, in Italia, assai poco attrattive per l’elettorato. I voti validi (quindi già sottratte le schede nulle e bianche) sul territorio nazionale sono stati 26.662.962 pari al 53,93% del totale degli aventi diritto. Mentre il non voto (astenuti, binache e nulle) raggiunge la cifra di 22.466.634.

Nell’occasione delle elezioni europee del 2014 (quelle dell’illusorio 40% del Pd) i voti validi furono 27.448.906 pari al 54,17%. Alle politiche dell’anno scorso questa cifra s’impennò fino a 32.841.705, al 70,61%. Rispetto alle politiche 2018 mancano quindi il 16,68% dei voti, circa 2.970.000 unità. Numeri da rendere improbabile qualsiasi raffronto ragionato. Tra le europee 2014 e quelle 2019 ci sono stati circa 900.000 voti validi in meno.

Le sole regioni nelle quali il totale dei voti validi nel 2019 è stato superiore a quello del 2014 sono state: la Valle d’Aosta, Veneto, Friuli, con le maggiori punte di flessione in Campania e Sicilia. In questo caso appare di grande interesse esporre le percentuali per ogni singolo partito riferite non al totale dei voti validi ma a quello degli aventi diritto (riferimento sempre al territorio nazionale). Il totale degli aventi diritto era quindi di 49.129.598 elettrici ed elettori: Lega 18,58%, PD 12,22%, M5S 9,23%, Forza Italia 4,7%, Fratelli d’Italia 3,5%, Più Europa 1,67%, Europa Verde 1,23%, La Sinistra 0,94%. Un esempio dal passato come indice di una solidità del sistema. 1976: DC 14.209.519 su 40.426.658 pari a 35,14%, PCI 12.614.650 pari a 31,20 %, PSI 3.540.309 pari all’8,75%. I tre grandi partiti di massa valevano quindi assieme il 75,09% sull’intero elettorato (votante e non votante: la percentuale dei votanti si era attestata sul 93,39%). Ora i tre primi partiti valgono il 40,03% dell’intero elettorato votante e non votante (percentuale dei votanti: 56,09%). Per la prima volta nella storia repubblicana il partito di maggioranza relativa si colloca al di sotto del 10 milioni di voti.

Riscontriamo quindi indici di estrema fragilità del sistema e di difficoltà nell’espressione della rappresentanza politica: segnali da non sottovalutare.

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