Maguy Marin, l’arte è un’azione politica
Danza Parla la coreografa; Leone d'Oro alla carriera 2016, del suo storico pezzo «May B» e del film che ne racconta la genesi e la storia della compagnia. «È un mondo che va a due velocità, una per chi ha i soldi, una per chi vive per le strade»
Danza Parla la coreografa; Leone d'Oro alla carriera 2016, del suo storico pezzo «May B» e del film che ne racconta la genesi e la storia della compagnia. «È un mondo che va a due velocità, una per chi ha i soldi, una per chi vive per le strade»
I volti trasformati sotto l’argilla. Gli occhi cerchiati, avidi, sbalorditi. Le bocche sdentate. La schiena curva, la postura incallita. Sussurri, risate strette, ribollio di parole. La polvere del tempo. Silenzio. Non c’è che un corpo. Noi formiamo un unico corpo. Dieci interpreti, dieci individui, dieci voci, una visione collettiva: «Fini. C’est fini. Ça va finir. Ça va peut-être finir». La difficoltà di convivere, le generazioni che si frantumano, la morte, la partita della vita giocata sulla terra.
1981-2019: da trentotto anni va in scena May B, pezzo rivoluzionario, iconico, ispirato all’opera di Samuel Beckett, firmato da Maguy Marin, una delle maggiori coreografe del nostro tempo, Leone d’oro alla carriera 2016 della Biennale di Venezia, spettacolo portato l’altro ieri (unica tappa) all’Arena Shakespeare di Parma dalla Fondazione Teatro Due. Un titolo che va dritto al cuore, complice il segno di una autrice per cui l’arte è un’azione politica. Un percorso che il Teatro Due sente in linea con la propria storia, legata dal 1984 alla ripresa ogni anno de L’Istruttoria di Peter Weiss. Un lavoro, May B, seguito ieri dalla proiezione al cinema Astra, presente la coreografa, del film Maguy Marin – L’Urgence d’Agir di David Mambouch (Naja Productions 2018 – Prix de Critique come migliore film di danza 2018), un viaggio coinvolgente che attraversa la vita della compagnia di Marin e di May B (replica a Bologna al DAMSLab domani e talk con Marin il 14 per il progetto BlauLab).
«ERANO dieci anni che avevamo voglia di fare un film intorno a May B – ci ha raccontato a Parma Marin – ma c’erano sempre troppe difficoltà. David (attore, regista e figlio di Maguy ndr.) aveva già fatto un film su un mio lavoro, Nocturne. Nel 2013, in una tournée in Israele, entrò in May B al posto di un interprete che non era stato bene. E fu chiaro che May B era parte della sua storia. Uno sguardo sulla vita della nostra compagnia che partiva dall’infanzia. Mi interessava che questo film fosse un lavoro sulla trasmissione, sulla testimonianza di una durata nel tempo».
«UNO SPETTACOLO – prosegue Marin – in cui hanno danzato negli anni 90 interpreti, un incontro di generazioni per un pezzo che, come è nelle opere di Beckett, parla dell’impossibilità di vivere insieme, della finitezza della vita, dell’obbligo di negoziare per vivere. Penso a un racconto che mi fece tante volte mia madre: scappava verso la Francia sotto il franchismo. Alla frontiera, tenendo in braccio mia sorella, lei come altre donne, assistette alla lotta folle tra le persone per accaparrarsi una scatola di sardine. Ci battiamo per la nostra persistenza, dice Spinoza, con una forza incredibile. Anche di questo parla May B. Qualcuno vi ha visto un racconto di migranti, altri qualcosa sui campi di concentramento, non ho pensato a queste particolari storie, ma il punto è che quando si nasce, non siamo mai soli, c’è intorno a noi una famiglia, veniamo da una cultura, da un paese, siamo obbligati a fare i conti con il mondo in cui siamo. Nel film sentiamo la voce di Mitterrand, di Sarkozy, di Macron, tutti noi invecchiamo con la storia. E lottiamo per vivere».
GLI SPETTACOLI firmati da Maguy negli ultimi due anni, DEUX MILLE DIX SEPT e Ligne de crete, quest’ultimo ispirato al libro di Frédéric Lordon Capitalismo, desiderio e servitù, confermano l’approccio. Commenta Marin: «Non siamo mai abbastanza attivi sulla questione politica. Guardiamo la sinistra che ha capitolato e facciamo troppo poco. È un mondo che va a due velocità, una per chi ha soldi, una per chi vive per le strade, noi artisti dobbiamo spronare i giovani a battersi per ciò in cui credono, a non essere sottomessi al capitalismo, ai desideri impliciti nel consumismo. E questo va fatto anche nelle scuole d’arte. Se io, formata come ballerina classica, non avessi poi incontrato Béjart, che mi ha spinto a avere confidenza in me, a essere curiosa, creativa, non avrei fatto quello che ho fatto. Direttori di scuole, di sale di teatro, tutti quelli che hanno la responsabilità di una struttura, anche se minore, si impegnino per le nuove generazioni».
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