Rinviata due volte da marzo, la visita del presidente della Repubblica per l’inaugurazione della sede di Napoli della scuola superiore della magistratura ha offerto l’occasione al capo dello Stato per un discorso molto esplicito sul ruolo dei magistrati e i loro compiti. È stato un richiamo netto, quasi duro, a una rigorosa interpretazione del ruolo. Le toghe devono evitare sconfinamenti, ha detto ieri in sostanza Sergio Mattarella, sia dal punto di vista della presenza pubblica sia – soprattutto – dal punto di vista dell’interpretazione del diritto.

«Le sentenze sono pronunciate “in nome del popolo italiano” – ha detto il presidente della Repubblica – non perché i magistrati siano chiamati a rispondere di fronte a esso delle decisioni assunte, ma perché la giustizia va resa soltanto in base alla legge e al diritto» che sono il «risultato delle espressioni di sovranità popolare». Un avvertimento a evitare qualsiasi tentazione di populismo penale: il magistrato non agisce per dare soddisfazione al popolo. Il giudice nel nostro ordinamento, ricorda Mattarella, «non è elettivo né politicamente responsabile». Il che significa che «l’unico collegamento possibile» con la sovranità popolare passa dalla legge, a sua volta espressione indiretta, attraverso il parlamento, della volontà del popolo.

Da questa premessa discende l’invito di Mattarella alle toghe – particolarmente significativo perché indirizzato innanzitutto ai giovani in formazione – a non uscire dal recinto nel quale le colloca la Costituzione. Condizione indispensabile, avverte il presidente, per tutelare l’indipendenza «patrimonio irrinunziabile dello stato di diritto e della nostra democrazia costituzionale».

Per il presidente della Repubblica, che è anche presidente del Csm, i magistrati devono tenersi lontanissimi dalla «pretesa di creare norme per soddisfare esigenze che non possono trovare riscontro nell’ambito della funzione giurisdizionale». Le soluzioni vanno trovate tutte e solo nell’interpretazione e applicazione del diritto positivo. No a una giustizia creativa, dice il capo dello Stato, nel nome della «prevedibilità» delle sentenze che è un valore per i cittadini. L’ammonimento, così chiaro e netto, è tanto più pesante quanto lo stesso capo dello Stato riconosce che «talvolta legittime rivendicazioni possono rimanere senza risposta». E questo è tanto più vero nel campo dei cosiddetti «nuovi diritti», dove anche la Corte costituzionale ha registrato l’inerzia del legislatore, tanto da mettere in discussione per il futuro la strategia dei «moniti» al parlamento che non ha prodotto grandi risultati. Ma, sostiene Mattarella, «questo non può voler dire che tutte le istanze, anche quelle senza riscontro nella legge, debbano poter trovare accoglienza nell’azione giudiziaria». È quasi un manifesto dei limiti e confini della giustizia, contro le tendenze panpenalistiche. «Il processo non può essere utilizzato per finalità diverse dalla risoluzione delle controversie e accertamento dei reati». E qui i capo dello Stato richiama anche all’utilizzo, negli atti, di «un linguaggio consono e misurato», non mancando recenti deviazioni da questo precetto.

Ma Mattarella non si ferma al tema dell’applicazione della legge, nel suo discorso c’è spazio anche per l’eterna questione dello scontro tra la magistratura e la politica. Anche qui arriva pesante un richiamo a restare nei confini: «La Costituzione definisce con puntualità l’ambito delle attribuzioni che sono affidate agli organi giudiziari così come i compiti e le decisioni che appartengono al altri organi. Questo va rispettato».

È un avvertimento che arriva nel pieno di una nuova stagione di contrasto tra la magistratura e il governo. È di pochi giorni fa l’assemblea a Milano contro la goffa azione disciplinare promossa da Nordio. L’incontro, molto partecipato, ha offerto un’immagine determinata e unitaria delle toghe come non si vedeva da tempo. L’Anm ha convocato un’assemblea nazionale per decidere come muoversi contro le mosse di Nordio, che annuncia (di nuovo ieri da Napoli) riforme assai poco gradite. Mattarella però avverte: «È bene tenere presente che lo stesso rispetto che deve essere assicurato alla piena, irrinunziabile indipendenza della funzione giudiziaria, deve essere sempre riconosciuto e assicurato anche alle altre funzioni dello Stato».
L’idea del magistrato che ha in testa Mattarella è dunque assai rigorosa. Meno asfittica di quella che offre subito dopo, parlando a Napoli, il vicepresidente del Csm Pinelli che si preoccupa di indicare «un modello di magistrato professionale e laborioso … riservato e deontologicamente irreprensibile». Ma le parole del capo dello Stato sono pesanti e tradiscono una preoccupazione: la posta in gioco di nuove tensioni con la politica può essere proprio l’indipendenza delle toghe.