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Magistrati in politica, non diventi un divieto

Magistrati in politica, non diventi un divieto

Giustizia Il prossimo presidente dell’Anm Eugenio Albamonte sulla legge in discussione alla camera: se la fretta deriva dal caso Minzolini-Sinisi hanno preso un abbaglio. «Anche cose buone nella riforma penale. Invece per l'asilo male il decreto Minniti»

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 21 marzo 2017

«Ok a regole più stringenti per i magistrati in politica, ma non si dica che adesso c’è il vuoto. I limiti sono previsti nell’ordinamento giudiziario e nelle circolari del Csm. Restava da coprire il tema delle amministrazioni locali, oggi si può fare contemporaneamente il pm, o il giudice, e il sindaco in un comune non lontano dal proprio distretto. Non sarà più così e va bene. Ma dico anche: facciamo attenzione, non è pensabile che i magistrati diventino l’unica categoria alla quale, di fatto, viene impedito l’elettorato passivo».

Sostituto procuratore a Roma, esponente della sinistra delle toghe (Area), Eugenio Albamonte tra qualche giorno smetterà di parlare a titolo personale: sta per sostituire Piercamillo Davigo alla presidenza dell’Associazione nazionale magistrati.

 

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Non è il caso dei sindaci a spingere questa legge, ieri arrivata in aula alla camera, ma la vicenda Minzolini che lamenta di essere stato condannato da un giudice già politico di centrosinistra.

Se è così si tratta di un’accelerazione del tutto inappropriata, non conosco nel dettaglio la carriera del giudice Sinisi ma da quello che ho letto neanche la nuova legge, con tutte le sue restrizioni, sarebbe stata un ostacolo. Esercita funzioni giudicanti collegiali, si era candidato in una circoscrizione lontana e ben più di cinque anni fa. Ho trovato semmai discutibili altre cose in quel voto sul senatore Minzolini.

Quali?

C’è stato chi è tornato al merito della decisione giudiziaria, e questo quando c’è stato un giudizio di Cassazione è decisamente un fuor d’opera. Trovo sbagliato che venga messa in discussione la linea di demarcazione tra le prerogative della magistratura e quelle del parlamento, che anche la legge Severino ribadisce in maniera netta.

La Costituzione riconosce alle camere il diritto di decidere sui deputati e senatori, non c’è Severino che tenga.

La Severino è una legge di attuazione della Costituzione, riconosce senz’altro al parlamento l’ultima parola, ma non prevede un quarto grado di giudizio politico per i parlamentari. E invece nel dibattito c’è stato chi ha sollevato, del tutto fuori luogo, il problema del fumus persecutionis.

Passiamo al disegno di legge sul processo penale, l’Anm lo boccia del tutto?

No, e voglio dirlo anche per smentire il ministro quando ci accusa di saper solo criticare. Io credo che in questa legge ci siano cose interessanti e positive, ampiamente condivisibili. Tutta la parte sull’ordinamento penitenziario, ad esempio, o il tentativo di snellire le procedure per Appello e Cassazione. L’aspetto più criticabile è la norma sull’avocazione delle indagini da parte del procuratore generale – quando passano più di tre mesi tra la chiusura delle indagini e la richiesta di rinvio a giudizio. In tutto il nostro ordinamento se c’è da garantire un diritto ai cittadini, in questo caso il diritto a tempi certi nel rapporto con la giustizia, questo diritto viene affidato a un giudice e non a un procuratore. Inoltre i tempi morti dopo la chiusura delle indagini sono quasi tutti a carico dell’attività amministrativa, a Roma solo per digitalizzare i fascicoli impieghiamo più di tre mesi. E siamo cento magistrati, in procura generale solo 23. Spostare tutto non risolverà il problema, ma sposterà e aggraverà i ritardi.

Lei si occupa di indagini informatiche, che dice della limitazione all’uso dei software spia?

È un altro aspetto problematico della legge. Le sezioni unite della Cassazione avevano consentito l’uso dei Trojan all’interno dei luoghi di privata dimora per tutti i reati associativi, la legge limita questa possibilità alle indagini per mafia e terrorismo, Questo vuol dire che nelle indagini per corruzione che coinvolgono un’associazione di persone non potremo più mettere sotto controllo quei luoghi dove spesso si pianifica l’attività corruttiva.

Intercettazioni, non pensa che vada messo un limite alla pubblicazione di quelle non rilevanti per le indagini?

Sì, ed è un altro aspetto positivo della riforma. Con il limite, però, che la delega al governo è un po’ troppo ampia e fumosa, e lascia spazio a interventi eterogenei rispetto a questo obiettivo di sacrosanta tutela della riservatezza. Credo che il ministro ne sia consapevole e forse per questo è orientato a coinvolgere i procuratori nella stesura dei decreti.

Altra questione, la norma che obbliga gli ufficiali di polizia giudiziaria a informare delle indagini i superiori non meritava una presa di posizione critica della magistratura?

Il Csm ci sta lavorando e presto lo farà anche l’Anm. A me pare una norma pericolosa, che capovolge completamente l’impostazione del codice di procedura penale, in base alla quale la polizia giudiziaria è posta alle dipendenza del magistrato inquirente con un dovere di fedeltà e riservatezza che protegge le indagini. Bisogna ricordare che al vertice della polizia giudiziaria c’è sempre il governo, il potere politico.

Come giudica il decreto Minniti-Orlando che riduce le garanzie per i richiedenti asilo?

Snellire le procedure va bene, ma penalizzare i diritti tutelati dalla Costituzione e dalle convenzioni internazionali non dovrebbe essere consentito. Il decreto riduce il processo di primo grado a una sostanziale camera di consiglio, senza la presenza dell’interessato, e abolisce l’appello. Delle due l’una, così è troppo.

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