Magica Lunetta degli artisti
Luoghi Mostra d'arte, galleria, utopia, sogno: Lunetta11 a Mombarcaro, la vetta delle Langhe. Con un'intervista a Shafei Xia, artista cinese che vive in Italia
Luoghi Mostra d'arte, galleria, utopia, sogno: Lunetta11 a Mombarcaro, la vetta delle Langhe. Con un'intervista a Shafei Xia, artista cinese che vive in Italia
Soffia sempre il vento su Lunetta11. Un vento magico, veemente e inderogabile, con un sottofondo odoroso di salino. Il vento a Lunetta sa di mare.
Lunetta11 è una parte di borgata in Alta Langa, il comune di riferimento è quello di Mombarcaro altresì detto la vetta delle Langhe per i suoi 896 metri di altitudine quasi al confine con la Liguria e con il suo mare (che dal suo belvedere, in giorni cristallini come il diamante, si intravede e si respira), che negli anni è stata (stupendamente e conservativamente) restaurata e destinata all’esposizione di arte moderna. E non solo: uno dei fondatori è Francesco Pistoi, musicista e dj di fama che ha dato lo stesso nome anche alla sua casa di produzione discografica. Lunetta è anche una residenza di charme e una galleria a cielo aperto, con sculture nascoste nel bosco che s’infittisce sotto il grande edificio in pietra.
Tra gli alberi e l’orto, tra il fiume e i cespugli di rose, di iris, di lavanda, salvia e rosmarino, ci si imbatte nelle opere di Salvatore Astore, Roberto Barni, Luigi Mainolfi, Richard Nonas. Nella piazzola d’erba su cui la casa s’impone, laddove l’anno passato si affacciavano i «bambini» di Valerio Berruti, quest’anno si trovano invece i grandi e fiabeschi cervi argentati di Paolo Grassino. Lunetta11 è, quindi, anche una specie di miracolo. Di bellezza e di apertura. Un tentativo coraggioso e in qualche modo militante di rendere, ancor più in un anno bisesto e crudele come il 2020, collettiva e potente l’incanto della natura e dell’arte.
Lunetta11 è il frutto dei sogni condivisi di una famiglia fugace e resistente composta da Francesco Pistoi, Claudia Zunino e dalla meravigliosa madre regina (di lui) Eva Menzio. Figlia del grande pittore torinese Francesco Menzio e di Ottavia Cabutti, sposa prima del critico Paolo Fossati e poi del gallerista Luciano Pistoi, Menzio ha vissuto a Roma dove fu co fondatrice della Cooperativa del Beato Angelico che si occupava delle donne artiste (in seguito a quell’esperienza pubblicò per le Edizioni delle Donne il libro su Artemisia Gentileschi, Atti di un processo per stupro Artemisia Gentileschi/Agostino Tassi, poi tradotto in Francia e in Germania). Ha poi aperto una sua galleria a Torino dove trattava tra gli altri Matisse, Klee, Léger, Burri, Chillida, Fontana.
Dal 2000 al 2011 ha diretto la Galerie Marlborough a Montecarlo. Lunetta è la sua nuova grande sfida oltre che una scelta di vita. Lei, Zunino e Pistoi sono tutti e tre fondatori e curatori e, grazie in particolare alla direzione di Claudia e Francesco, l’impostazione è incentrata sui giovani autori. La mostra che si trova in piedi oggi (fino a fine ottobre) tratta le opere di Andrea Barzaghi, BR1, Alessandro Gioiello, Shafei Xia, Solomostry (le bandiere di quest’ultimo sventolano la loro icona techno tra i palazzi medievali di Mombarcaro). «È un esperimento fresco Lunetta11-spiega Menzio- è un’idea coraggiosa che va contro le leggi terribili del mercato.
È una scommessa, come sempre quando s’investe sui giovani. Quello che viene da noi è un collezionismo fresco che ama acquistare un quadro per goderne e che può, con 2000 euro, portarsi a casa dei pezzi molto belli. Oggi le gallerie sono come delle multinazionali. Io penso che quando un’opera costa 200 milioni di euro non dovrebbe stare in un caveau ma in un museo. L’arte è patrimonio dell’umanità, come lo sono i libri». Eva è una gentildonna luminosa e affascinante: «I ragazzi ti portano sempre a contatto con problematiche che non conosci. L’arte e gli artisti sono anticipatori di situazioni sia umane che politiche. BR1, ad esempio, con «Nata in Italia non italiana» è portatore di un’etica potente e garbata. Shafei Xia, con il suo erotismo ironico e coraggioso; i mostri interiori di Solomostry; la ricerca concettuale di Alessandro Gioiello e la pittoricità di Barzaghi. Sono tutte esperienze artistiche forti, interessanti, rigeneranti per noi e per il mercato. Stiamo vendendo bene».
Lunetta è anche un’immersione di natura travolgente e meravigliosa, tutta l’aria che è mancata nel lockdown la si può respirare qui, mentre Eva taglia le sue rose, «c’è stato molto bailamme nella mia vita. Qui ho trovato la pace. Sono innamorata del vivere ma c’è un momento in cui ti prepari alla fine, hai voglia di farlo. Si esce di scena quando ancora si è vivi, quando comprendi che il mondo è degli altri e non ti fa male capirlo».
Shafei Xia, in mostra a Lunetta11
«In Cina non potrei esporre le mie opere. Mi hanno chiesto di partecipare a una mostra a Shangai, uno snodo finanziario in cui s’incontrano persone da tutto il mondo. La sua natura cosmopolita però non cambia l’atteggiamento: ho dovuto esporre le mie opere più soft. I temi dei miei dipinti sono cambiati nettamente da quando vivevo lì: ho iniziato a disegnare maiali, cibo, feci e sesso. Mi sono distaccata da un mondo prettamente reale attingendone a uno tutto mio in cui la mia immaginazione non aveva fine. I ricordi e le esperienze di vita mi hanno dato e mi danno tutt’ora un potere infinito. Gli stessi miei genitori non sanno che io dipingo questi soggetti, ho un buon rapporto con loro ma questo tema evitiamo di affrontarlo». Shafei Xia è nata nel 1989 a Shao Xing, attualmente vive a Bologna dove si è laureata all’Accademia di Belle Arti. Le sue opere esposte a Lunetta11 incantano letteralmente chi le vede, suscitando curiosità e divertimento. Dipinta su colori tenui e carta di sandalo spicca la passione erotica e il turbamento umano. La bilancia, oggetto sovente raffigurato dall’artista, rappresenta così l’eterna oscillazione tra godimento senza fine e violenza estrema: pulsioni contrastanti insite nell’uomo. Tigri fameliche, pesci antropomorfi, donne libere da vestiti e inibizioni costituiscono il personale universo simbolico dell’artista che rielabora parte del complesso sistema idiomatico cinese in forme bizzarre, sospese in un paesaggio atemporale.
Cosa ispira la sua opera?
Mi sono innamorata. Nell’amore sento gioia, violenza, gelosia e controllo ed è questo che ritrovate nelle mie opere. La tigre, il pesce, in generale gli animali che ho iniziato a introdurre nel mio mondo sono l’espressione della sensibilità, del sentire umano. Rimango comunque molto vicina alla tradizione del mio paese. La filosofia, la storia riemergono in tutto e per tutto. Pensate ai Shunga, le antiche stampe erotiche cinesi. Il femminile in Italia può sembrare molto diverso da quello cinese. In profondità tutte le donne sono uguali.
Perché ha scelto di studiare in Italia?
In Cina, dopo aver fatto tantissimi lavori, non riuscivo a essere felice, ero persa, non focalizzavo le mie energie. I miei genitori si aspettavano che trovassi un lavoro stabile invece che essere un’artista libera e povera. Si aspettavano un matrimonio. Sentivo l’esigenza di volare, fuggire. Un giorno vidi Mangia, prega, ama e mi sono rivista in Julia Roberts. Il mio professore del triennio in Cina mi aveva consigliato Bologna. Penso di restare qui ancora tre o quattro anni, poi non so dove mi porterà la vita. Trovo molto godimento e piacere in Italia. Ad esempio nel cibo ma non mi piace il formaggio di capra. In generale amo come gli italiani trattano la vita: è un godimento continuo anche nelle cose più piccole, e io mi sento molto simile. E poi in Italia apprezzano i miei lavori ed è un buon motivo per rimanere.
Qual è secondo lei il ruolo dell’arte in tema di genere?
Ogni artista ha il suo linguaggio e lo trasmette attraverso le sue opere. Il messaggio da personale diventa sociale, per il solo fatto che viene fruito da altri. L’artista si nutre di ciò che gli sta attorno, è tra i primi a percepire il cambiamento e di certo molti hanno parlato del tema del genere molto prima che diventasse così discusso. L’arte è sempre anticipatrice. Personalmente non la uso come strumento di protesta, non parlerei mai della mia arte come arte sociale. È il mio personale modo di vedere il gioco della vita.
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