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Maggie Smith, il sarcasmo di una regina

Maggie Smith, il sarcasmo di una reginaMaggie Smith in una scena tratta da «Downton Abbey»

Icone Addio all’attrice britannica, due Oscar in carriera, gli ultimi ruoli in «Harry Potter» e «Downton Abbey». Morta a 89 anni, aveva iniziato alla National Theatre Company di Laurence Olivier

Pubblicato 18 giorni faEdizione del 28 settembre 2024

Il sipario si è chiuso sulla vita di Dame Margaret Natalie Smith, conosciuta da tutti come Maggie Smith, una presenza lunga cinquant’anni di successi sui palcoscenici, sui set cinematografici e nelle serie televisive. Originaria di Ilford, nel Sussex, classe 1934, figlia della scozzese Margaret Hutton e di Nathaniel, patologo presso l’università di Oxford. La coppia si era conosciuta durante un viaggio in treno e amava raccontare a Maggie il romantico incontro. Per lei era quasi segnato il destino alla Oxford University Dramatic Society, dove giovanissima comincia a calcare le scene con l’Oxford Playhouse Theatre ottenendo un buon riscontro. Al punto che nientemeno che Laurence Olivier, all’epoca la personificazione del teatro inglese, la nota e la scrittura per la prestigiosa National Theatre Company.

CON LUI, dopo che aveva già avuto piccole parti, arriva anche la consacrazione cinematografica con Otello, in cui è Desdemona (1965) accanto a Sir Laurence e il film viene subissato di nominations, tra cui quella per l’Oscar e il Golden Globe anche per Maggie. Non deve attendere molto per conquistare la sua prima e più ambita statuetta del mondo del cinema, che ottiene con l’interpretazione di La strana voglia di Jean diretto da Ronald Neame (1970), bissato qualche anno dopo da quello ottenuto per California suite (1978) di Herbert Ross. Ormai non è più solo una sublime attrice in parti drammatiche, il suo registro comprende anche ottime performance brillanti che lei sa offrire con ironico understatement, alternate a apparizioni in film dal fortissimo impatto spettacolare, tra cui un paio di assassinii di Agatha Christie e un paio di Sister Act.

E se la contendono in tanti: Cukor, Pakula, Ivory, passando più tardi per Zeffirelli, Spielberg, Altman. E con Bob realizza un gioiellino di film come Gosford Park (2001) in cui nobili e servitù, ma anche statunitensi e britannici, convivono gomito a gomito con effetti esilaranti. Sceneggiatore Julian Fellowes che fa tesoro di questa esperienza (con cui vince l’Oscar di categoria) per una nuova esperienza, questa volta televisiva, destinata a un successo planetario: Downton Abbey, naturalmente con l’inarrivabile Maggie tra i protagonisti. Ma la carriera della Smith non conosce rallentamenti, in bacheca ha ormai due Oscar, tre Golden Globe, quattro Emmy e cinque Bafta, per limitarsi ai più prestigiosi. Eccola infatti come presenza fissa nei panni di Minerva McGranitt nell’infinita serie di Harry Potter, nonostante i primi sintomi di una salute che comincia a fare i capricci. Maggie però non si lascia intimidire, continua la sua attività con un surplus di autoironia in Marygold Hotel (2012) e The Lady in the Van (2015). Ma c’è un documentario imperdibile per chiunque abbia apprezzato le sue interpretazioni, si tratta di Un tè con le regine (2018) di Roger Michell dove chiacchierano da autentiche protagoniste della storia della recitazione britannica, senza trascurare frecciatine e pettegolezzi, la nostra Maggie Smith (1934), Judi Dench (1934), Eileen Atkins (1934) e Joan Plowright (1929).

SE CI FOSSE bisogno di qualcosa che vada oltre le loro interpretazioni per amare profondamente quello che hanno saputo offrire al pubblico con la loro arte, questo film è una magnifica e spassosissima consacrazione. Purtroppo da oggi saremo orfani della presenza di una figura fondamentale di questo quartetto, giusto per dirla con il titolo del film di Dustin Hoffmann con Maggie protagonista. Ci mancherà veramente quel suo sguardo sarcastico, quel suo modo di dire cose tremende con il sorriso sulla bocca e quel suo raffinato snobismo talmente credibile da non essere talvolta colto come recitazione.

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