Maeterlinck, piante nostre sorelle
Il volumetto che lo scrittore belga Maurice Maeterlinck dedica a L’intelligenza dei fiori nel 1907 risulta a tratti di un’inaspettata attualità (ora da Elliot, a cura di Giuseppe Grattacaso, pp. 105, € 14,50). Noto in particolare per le sue opere teatrali, specialmente nella prima fase di stampo simbolista, come Pelléas et Mélisande (1892) o l’Oiseau bleu, messo in scena a Mosca nel 1908 da Stanislavskij, fu parallelamente naturalista autore di diversi saggi di successo come quelli su api, formiche e termiti. Botanico appassionato e sperimentatore in giardino, con un linguaggio a un tempo rigoroso e immaginifico inanella le prove di un’intelligenza avveduta e vivace del mondo vegetale che si caratterizza per ingegnosità e lungimiranza.
Concentrando l’analisi sui temi della fecondazione incrociata e dei sistemi di disseminazione, evidenzia sulla base delle conoscenze del tempo l’immaginazione inventiva, ad esempio, della mimosa pudica o della ginestra, ma anche del filo d’erba qualsiasi. Si enumera così la ricchezza di espedienti messi in atto da un’intelligenza all’opera, che è d’ispirazione per scienze come meccanica, balistica, navigazione aerea, ma che è anche all’origine di quei «motivi architettonici e musicali presi direttamente in prestito dalla natura». Ne emerge il continuo lavorio d’invenzione di un processo creativo. Mai fissato, sempre in divenire, al di là dei nomi con cui tentiamo di stabilizzare tipi immaginari. Per quanto parte di una ricerca fluttuante tra pensiero poetico, metafisico e misticismo, alla ricerca delle manifestazioni di una sorta di diffusa intelligenza generale, quest’attenzione per l’intelligenza animale e vegetale, per i tempi senz’altro anticipatrice, riconduce l’umano all’interno di un macrocosmo, in continuità con la natura, evidenziandone la vanità puerile di credersi al di fuori e al centro dell’universo.
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