Nell’Esquina caliente di Caracas, vicino a Piazza Bolivar, chavista al 100%, il gruppo assiepato intorno al televisore si guarda intorno smarrito. Dalle sei del pomeriggio attende che Tibisay Lucena, rettora del Consiglio nazionale elettorale (Cne), annunci i risultati delle presidenziali di domenica. E adesso, alle 23 passate, quell’annuncio è arrivato, confermando le voci che si rincorrevano dal pomeriggio: «Con il 99,12% dei voti scrutinati e una partecipazione relativa del 78,71% dei 18,9 milioni di aventi diritto, si è evidenziata una tendenza irreversibile: Nicolas Maduro Moros, candidato del Partito socialista unito del Venezuela ha ottenuto 7.505.000 voti (ossia il 50,66%), Henrique Capriles Radonski, candidato della Mesa de la Unidad Democratica (Mud), ha totalizzato 7.270.403 preferenze (cioè il 49,07%)». Il restante 0,26% dei consensi è ripartito tra Reina Sequera (Poder Laboral), María Bolívar (Partido Democratico Unidos por la Paz y la Libertad), Freddy Tabarquino (Joven), Eusebio Mendez (Nueva Visión para mi País, e Julio Mora (Unidad Democrática).
Lo scarto fra i primi due è di soli 235.000 voti. Il Venezuela resta socialista per un soffio. Alle ultime presidenziali del 7 ottobre, Capriles aveva totalizzato 6.151.544 voti (il 44,97%). Hugo Chávez lo aveva battuto con 7.444.082 preferenze (il 54,42%). Allora, si era registrata un’affluenza record, l’80,56%. Adesso, il chavismo perde circa 600.000 voti. Invece l’opposizione cresce e, dopo una campagna condotta a suon di dollari e tutta all’attacco, batte i pugni sul tavolo. Grida ai brogli, chiede un nuovo conteggio dei voti e annuncia che non riconoscerà i risultati. Da giorni, il chavismo aveva denunciato i piani della Mud per invalidare i risultati.
Alla Esquina Caliente, un’anziana si copre il viso con le mani, una donna mette giù la bambina, parla concitata al cellulare: «Hanno accoltellato un compagno – dice – sono cominciati i problemi». «Dobbiamo stare all’erta», avverte un soldato. Poi si raccolgono striscioni e bandiere, si parte per Miraflores, il palazzo presidenziale. Il presidente eletto pronuncerà il suo primo discorso. Il piazzale è gremito, gli ospiti internazionali applaudono. Gli osservatori hanno ribadito la correttezza del voto. Tutti salutano col pugno chiuso, ma gli abbracci non sono di festa piena. Per lo staff di governo è stato montato un piccolo palco: Maduro non parla dal balcone di Miraflores, da cui Chávez aveva salutato la folla in delirio, il 7 ottobre.
Prende di petto il problema: «Noi siamo i primi interessati a un nuovo conteggio dei voti – dice – ma non si può lasciare il paese nel caos per settimane. Devo rispettare chi mi ha dato la fiducia e la maggioranza». D’altro canto – ha precisato – nel corso delle 18 elezioni in cui è stato impegnato il paese nei 14 anni di governo Chávez – vi sono stati altri risultati decisi per pochi voti, come il referendum del 2007 o le regionali nello stato di Miranda, entrambi vinti dall’opposizione per un soffio. «E sempre abbiamo riconosciuto i risultati, la democrazia è questa», ha ricordato Maduro, dicendosi disposto a governare per tutto il mandato, che scade nel 2019. Dopo aver rinnovato l’appello alla pace, alla condivisione e alla responsabilità, ha raccontato di aver parlato al telefono con il suo avversario, prima che il Cne gli comunicasse i risultati: «Due ore fa siamo stati contattati da un membro del comando di opposizione perché il candidato Capriles voleva parlarmi – ha detto -. Mi ha esposto la sua visione delle cose, mi ha proposto una riunione per stipulare un patto, ma io gli ho risposto che non ci possono essere patti fra due persone. Tu, Capriles, devi riconoscerlo. Io devo rispettare il voto di 7.500.000 persone, e anche tu devi rispondere ai 7.200.000 che hanno votato per te». Dialogo «sociale e politico», quindi, «e con tutto il popolo, ma non accordi di vertice» come nella IV Repubblica.
La piazza grida «No volveran», alza striscioni che ricordano il colpo di stato di 11 anni fa. Il 14 aprile del 2002, Hugo Chávez, deposto tre giorni prima da un piccolo gruppo di generali, tornava a Miraflores in elicottero. Riversandosi nelle piazze, il popolo aveva sfiduciato il piano ideato dai vertici imprenditoriali, dalle gerarchie ecclesiastiche e dai grandi media privati, finanziati dalla Cia. Poco distante, c’è il Puente Llaguno, una lapide ricorda le vittime di quei giorni.
Prima dei risultati, Maduro è andato a raccogliersi al Cuartel della Montaña, dove riposano i resti del suo predecessore, morto il 5 marzo per un tumore. Ora ribadisce l’intenzione di approfondire i punti di programma concepiti da Chávez per il mandato che non ha potuto assumere: un progetto di paese basato sulla ripartizione delle risorse petrolifere, sulla crescita della produzione nazionale e sul rafforzamento della democrazia partecipativa e radicale di cui il voto è solo uno dei momenti.
Negli occhi di tutti, la speranza e la domanda: sopravviverà il chavismo alla morte del «comandante-presidente» che ha guidato il paese per 14 anni? Rimarrano unite le diverse anime di questo “laboratorio” che non esaurisce nel voto la complessità delle proprie aspirazioni? Qualche giorno fa, i giornali di opposizione hanno amplificato un documento interno al chavismo che evidenzia un acceso dibattito intorno alle misure economiche da adottare: per governare i costi di un’economia “mista” in un paese petrolifero deciso a scommettere su una nuova sovranità popolare. Per molti, un sintomo della buona salute di questa democrazia. Per alcuni, un allarme rosso.
«Oggi per la rivoluzione si apre una fase nuova, la tappa dell’efficacia e dell’onestà assoluta e di una profonda revisione – ha affermato il presidente – il potere popolare è la formula per correggere i problemi e rettificare il cammino: per combattere il burocratismo e la corruzione. Il nostro socialismo cristiano e bolivariano ha gli anticorpi per superare i disvalori del capitalismo e sconfiggere definitivamente la povertà entro il 2019. Non abbiamo paura. Questo popolo di guerrieri e guerriere ha combattuto e continuerà a combattere perché ne vale la pena».
Alle due di ieri, Maduro ha ricevuto l’investitura del Cne in una cerimonia pubblica, in Piazza Caracas.
Maduro la spunta per un pelo
Venezuela. Appena 235 mila i voti di distacco tra il candidato chavista e lo sfidante Capriles, che chiede di ricontare le schede e di annullare la proclamazione ufficiale del vincitore. In serata piazze contrapposte nella capitale

La delusione dei supporter di Henrique Capriles dopo la diffusione dei risultati elettorali - Reuters
Venezuela. Appena 235 mila i voti di distacco tra il candidato chavista e lo sfidante Capriles, che chiede di ricontare le schede e di annullare la proclamazione ufficiale del vincitore. In serata piazze contrapposte nella capitale
Pubblicato 10 anni faEdizione del 16 aprile 2013
Geraldina Colotti, CARACAS
Pubblicato 10 anni faEdizione del 16 aprile 2013