«Madrigals», inno all’unione dei corpi reinventando Monteverdi
In scena A Romaeuropa una rielaborazione musicale di Jesse Kanda con la regia di Benjamin Abel Meirhaeghe, in scena otto danzatori cantori completamente nudi
In scena A Romaeuropa una rielaborazione musicale di Jesse Kanda con la regia di Benjamin Abel Meirhaeghe, in scena otto danzatori cantori completamente nudi
Monteverdi è un pretesto. Alla lettera: il testo preesistente da rielaborare, trasformare, inventare. Ci pensano Jesse Kanda, conosciuto a molti perché collabora con Björk, e Wouter Deltour. Operazione legittima. Ogni moto d’indignazione per l’oltraggio a una musica che va rispettata è fuori luogo. La musica europea nasce come ricomposizione di musiche preesistenti, da quando un musicista cantore della Cappella parigina di Nôtre Dame, Magister Leoninus, ebbe l’idea, nel XII secolo, di sovrapporre una melodia nuova alla melodia gregoriana preesistente: tutta la musica europea e occidentale parte da qui. Quindi l’operazione che Meirhaeghe, l’ideatore di Madrigals, compie, insieme ai suoi collaboratori, sui testi e sulle musiche dei madrigali monteverdiani, ha alle spalle una lunga tradizione: la musica ha sempre inventato il nuovo rielaborando il passato. E non solo la musica. Ma la pittura, la scultura, la poesia, la letteratura, il teatro. A questo punto, bisogna però vedere se la rielaborazione è cosa veramente nuova e se funziona. Otto danzatori cantori, Hanako Hayakawa, Alice Giuliani, Khaled Barghouti, Lucie Plasschaerts, Clément Corillion, Victor Dumont, Els Mondelaers, Antonio Fajardo, danzano e cantano nudi. All’inizio c’è la scena vuota e s’intravede una fessura dietro la quale si accendono fulmini mentre una musica elettronica intona suoni lunghissimi.
CI SI DICE che è la caverna di Platone. L’origine delle idee, della civiltà. Esce, sola, una donna, che grida con voce acutissima un inno all’unione dei corpi. I danzatori cantori a un certo punto siedono per terra intorno a un fuoco: la grotta della preistoria. Ma ad attaccare i madrigali tratti dall’Ottavo Libro di madrigali guerrieri e amorosi, è Fajardo che interpreta, con proprietà, chiarezza di dizione, il Testo del Combattimento di Tancredi e Clorinda. Seguono il Lamento della Ninfa, affidato però a una voce maschile, Or che il ciel e la terra, e brani da altri madrigali. Nell’annuncio dello spettacolo Meirhaeghe dichiara che vuole mettere in evidenza anche il lato queer della lotta amorosa. Oggi sta forse diventando di moda. Ma c’entra poco con Monteverdi. Invece è bello l’appello alla naturalezza dell’atto amoroso, i danzatori che, per esempio, si chiudono in cerchio come un fiore. La nudità non disturba, anzi esalta la naturalezza dell’atto. Bravissimi poi gli otto danzatori cantori a danzare e cantare insieme. Il gruppo B’Rock dimostra qui la sua duttilità. La bellezza dei corpi rende infine naturale la bellezza delle voci, nessuna però che alluda a una tradizione «alta» del suo uso. Ma il ritmo finisce per prevalere, e non sempre opportunamente. La lettura puramente musicale di una musica che invece nasce dalle parole è difetto spesso anche di chi questa musica vorrebbe eseguirla storicamente informato. Sta qui, dunque, il limite anche di questa rielaborazione. Il pubblico, foltissimo, ha comunque tributato a tutti un entusiastico applauso.
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