Lavoro

«Madri nella crisi», dal tetto alla tenda. Davanti al comune

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Milano Nuovo presidio delle operatrici sanitarie del Policlinico rimaste senza lavoro

Pubblicato circa 10 anni faEdizione del 9 settembre 2014

Nuova puntata di Madri nella Crisi, la protesta-reality di un centinaio di donne che da quasi 70 giorni va in scena, giorno e notte, sul tetto del Padiglione Alfieri del Policlinico di Milano. Ma non è una fiction, è vita vera come vere sono le mamme rimaste senza lavoro. La notizia circolava sul web da qualche giorno, stamattina si sono date appuntamento sulla rampa della clinica Mangiagalli, quella dove a Milano nascono i bambini, e da lì, insieme ai delegati Usb che condividono con loro questa lotta, sono partite in un corteo che, infilandosi per le viuzze del centro, ha raggiunto Palazzo Marino, sede del Comune.

Usandoli come aste per le bandiere, hanno trasportato dei tubi innocenti che, davanti alla Scala, hanno composto la struttura pensata e costruita per simboleggiare la sofferenza della precarietà. E’ il cimitero del lavoro: appoggiata a un lampione, una grande croce alta più di 4 metri e larga 3 racconta, con diversi cartelli, le varie anime, legalizzate o meno, in cui si declina la precarietà. Quell’assenza di diritti e garanzie che ha permesso che queste donne venissero lasciate a casa dopo aver lavorato per anni – anche venti – presso il Policlinico di Milano in qualità di operatrici socio sanitarie.

Nonostante la continuità del rapporto, non sono mai figurate come dipendenti dell’azienda ospedaliera ma hanno sempre lavorato con contratti di somministrazione, rinnovati mese per mese, facenti capo alle cooperative che si sono susseguite negli anni. La scorsa primavera sono state escluse da un bando di concorso indetto per stabilizzare il personale dell’ospedale che ha portato all’assunzione di lavoratori esterni senza che venissero tenute in considerazione – lamentano – l’anzianità maturata, l’età anagrafica e la condizione sociale. Per avere spiegazioni e riavere indietro il loro impiego sono salite sul tetto portando avanti un presidio permanente en plein air in un’estate in cui il timore del caldo ha ceduto il passo all’inconveniente dei temporali. E se gli oltre 2 mesi trascorsi tra i camini non sono bastati per meritare un cenno da parte delle istituzioni regionali, responsabili del comparto sanità, da oggi una succursale del tetto si trova davanti alla casa dei Milanesi. Con una tenda e un gazebo intendono restare lì nel quadrilatero della moda fino a che non avranno risposte, sfidando l’ordine di sgombero e l’indifferenza dei passanti. Dall’inizio della vertenza, l’occupazione del Pirellone, dell’Expo Gate, della sede della Tempor, l’agenzia interinale di cui sono dipendenti e infine della Prefettura, non sono servite a raggiungere una soluzione né a ottenere udienza da Mario Mantovani, l’assessore regionale alla Sanità che non ha rotto il silenzio durante le vacanze. Con un nulla di fatto si è conclusa anche la visita sul tetto dell’assessore comunale al lavoro, Cristina Tajani, e l’annuncio in pompa magna dei sindacati confederali che l’8 agosto sembravano aver trovato una soluzione con il Pirellone.

Le madri nella Crisi comunque non si danno per vinte e insistono con le loro rivendicazioni affinché qualcuno, a parte la Curia e il Vescovado, decida di prendere in mano la situazione. Una di loro, Maria, a metà agosto è stata ricoverata 5 giorni per forti vertigini. Possibile effetto dello stress, le hanno spiegato all’ospedale. Si è rimessa in sesto ed è tornata sul tetto. Ieri era in piazza, decisa a trascorrerci la notte. E quelle a venire.

Sotto al gazebo, molte donne hanno portato anche i figli che con loro hanno già trascorso tanti giorni sul tetto. All’inizio poteva anche essere divertente salire così in alto e vedere la Madonnina tanto vicino. Vanno a scuola di tenacia, quei ragazzini. Una lezione di dignità tenuta da chi si divide tra la casa e il presidio e sopravvive con 520 euro al mese, l’assegno mensile del fondo di solidarietà del contratto nazionale di somministrazione. Solo fino a Natale, poi ci sarà da tirare un buco in più alla cinghia.

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