Madame Phung, professione drag queen
Festival Al Cinéma du Reel una delle opere prime più applaudite diretta da Ngutem Thin Than. La difficoltà di essere gay in Vietnam. Nel programma una retrospettiva sulla Rivoluzione portoghese,
Festival Al Cinéma du Reel una delle opere prime più applaudite diretta da Ngutem Thin Than. La difficoltà di essere gay in Vietnam. Nel programma una retrospettiva sulla Rivoluzione portoghese,
Racconta Nguyen Thi Than,giovane regista vietnamita, che all’origine del suo primo film, L’ultimo viaggio di Madame Phung, ci sono le immagini che di questo gruppo di cantanti da festa paesana, conserva negli occhi sin da quando era bambina, e li osservava attraversare coi loro costumi gargianti e le canzoni struggenti d’amore, il paesaggio.
Parigi, il sole primaverile accarezza i palloncini rosa lanciati nell’aria dai comitati di Anne Hidalgo, la candidata sindaco socialista, in vista del prossimo ballottaggio. È primavera anche se fa freddo, le scolaresche in vacanza riempiono la città, i sandali si mescolano ai cappotti pesanti, nessuno rinuncia all’aperitivo sulla terrasse. Le elezioni sono discrete, pochi manifesti, poche facce, per scovarli bisogna farci caso e c’è pure qualcuno che nella nuova epidemia da selfie si mette in posa davanti alla faccia di Hidalgo. Cosa accadrà è una scommessa, ma intanto come sempre in questi casi ecco che la sicurezza, ossessione molto francese viene rilanciata da una parte e dall’altra, e capita pure in un tranquillo pomeriggio di inizio week end di vedere le strade del turisticissimo Marais pattugliate dall’esercito. Fa sempre un po’ impressione.
Cinéma du Reel, il festival del documentario va verso il finale, in attesa dei vincitori abbiamo ascoltato i registi portoghesi parlare della Rivoluzione del 25 aprile, al cui cinema è dedicata la retrospettiva (curata da Federico Rossin) col bel titolo Portogallo 25 aprile 1976. Un tentativo d’amore. L’incursione si snoda attraverso un programma composito, che va dai film dei Collettivi militanti a quelli rari di un grande cineasta portoghese molto nascosto quale Antonio Campo (A festa; Gente de praia da vieira), e poi Monteiro, Kramer com le sue Scene di lotta di classe in Portogallo, perché la rivoluzione portoghese è profondamente intrecciata all’immaginario, e anzi del cinema portoghese costituisce un riferimento per più generazioni, almeno fino a quella dei Pedro Costa, o Teresa Villaverde, i figli cioè dei padri che l’hanno fatta, ma anche coloro che hanno provato a raccontarne l’altra parte ora, i migranti delle colonie, i neri nella società portoghese, che come dice Pedro Costa quando ricorda le immagini della Rivoluzione non erano mai nel fotogramma. Eppure una delle ragioni di quella rivoluzione che finalmente rovesciò Salazar, una delle dittature più longeve in Europa, fu proprio la guerra coloniale in Angola.
Filmare la rivoluzione dunque, come tassello di un immaginario che si rifonda, che alla sua ricerca di mettere insieme i frammenti del mondo esploso, e di quanto è ancora nel possibile, e alla necessità di dare voce alle contraddizioni, ai conflitti sociali, e della stessa rivoluzione, ai tabù del presente e del passato, unisce la costruzione di un immaginario. Uno sguardo obliquo che si oppone da più prospettive, seguendo differenti urgenze, ai silenzi della Storia e delle storie di ciascuno.
Il tema è sempre attuale, se pensiamo alle immagini che hanno accompagnato le rivoluzioni arabe, o prima ancora quella iraniana ai tempi dell’Onda verde, una moltiplicazione che adesso cerca anche lì, e con molta più fatica di divenire qualcos’altro. Ecco dunque il mondo narrato attraverso le sue immagini. Sono storie private che divengono collettive come nel caso del bel film di Edgardo Cozarinsky Carta a un padre. O di sperimentazione ricca sul confine di documentario e finzione, come in Quando sarò dittatore di Yael Andre, tra i più applauditi e che pone ancora un’altra domanda rispetto al cinema oggi, e cioè l’uso del materiale d’archivio. Il film è una serie di storie possibili e fantasie esistenziali percorse attraverso filmati amatoriali raccolti nel tempo, di anni 60 o 70 sui quali la regista sviluppa la sua narrazione. L’abuso di questa tecnica fa sì che ne svuota la verità, c’è come un aspetto un po’ fatuo in questa accumulazione d’archivio, l’impressione che ormai siano decorativi e messi lì a colmare qualcosa senza interrogarne realmente la necessità.
L’ultimo viaggio di Madame Phung, nel concorso opere prime, è un lavoro molto atteso e segnalato subito dal pubblico del festival come tra quelli imperdibili. La protagonista, Madame Phung, è una drag queen, col suo gruppo di cantanti tutti transessuali gira le piazze polverose e spesso poco amichevoli di luoghi che guardano le persone come loro con estrema ostilità. Essere gay in Vietnam, spiega Madame Phung, significa non poter lavorare nelle istituzioni pubbliche, non poter aprire delle attività a proprio nome, non avere diritto a esibirsi in teatri o alla televisioni, e lei ha sempre amato cantare è stata così costretta a quelle piazze da fiere scalcinate, tra lotterie da quattro soldi e fatiche immani. «La vita degli omosessuali è miserabile, qui si deve esser uomo o donna, i mezzi uomini o le mezze donne non piacciono a nessuno».
Nel gruppo i più giovani sembrano spavaldi, la sera durante lo spettacolo provocano gli uomini, ma anche loro però vivono nella paura delle aggressioni, della violenza. Sono belli, truccatissimi, i vestiti colorati, le paillettes e i capelli lunghi. Madame Phung ha invece i segni del tempo sul corpo che cominciano a pesare – «Per un omosessuale invecchiare è peggio che per una donna», confida civettuola alla regista – e soprattutto la stanchezza di lottare. Il film segue il gruppo tra aggressioni, indifferenza della polizia, fino all’incendio che distrugge quasi tutte le loro cose nella casa in cui si sono sistemati. Madame Phumg è esausta, interroga le stelle e i segni ma nel futuro ci sono solo Morte e Malattia.
Nguyem Thin Than ha realizzato il film all’interno degli Atelier Varan, con l’unità di lavoro creata in Vietnam, il metodo della scuola francese (in cui ha insegnato anche Leonardo Di Costanzo, e dove attualmente insegna Daniele Incalcaterra) è quello di costruire realtà produttive nei paesi dove vanno girando sul posto e con un’équipe locale in modo da formare anche professionisti del cinema – il film è stato montato da Aurelie Ricard anche lei dei Varan insieme a Dao Thi Tho.
La scelta di Nguyen Thi Than è di rimanere sempre nello spazio del gruppo di Madame Phung, i villaggi e l’esterno scivolano via uguali nella loro aggressività a se stessi. È il quotidiano dei suoi personaggi che la regista cerca, rendendoli così forti e commuoventi in questa loro battaglia. Sono loro il centro del film, e la loro vita di amori impossibili e canzonette riempie lo schermo compensando quell’eccesso di «ordine» a posteriori che talvolta pervade il film. Ovvero la sensazione che la regista non abbia trovato un suo spazio narrativo, ma soprattutto che si poteva lasciare più spazio al teatro – che poi è la vita – a quel mettersi in scena con la musica e le parole piene di cuori spezzati.
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