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Macedonia del Nord, vince il candidato socialdemocratico. La Nato è più vicina

Macedonia del Nord, vince il candidato socialdemocratico. La Nato è più vicinaStevo Pendarovski – LaPresse

Elezioni Stevo Pendarovski è presidente, archiviata la disputa sul nome con la Grecia

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 7 maggio 2019

Avrà un bel daffare Stevo Pendarovski, appena si insedierà alla presidenza della Macedonia del Nord. Una pila di decreti legge aspetta da mesi di essere firmata prima di entrare in vigore. Il suo predecessore, Gjorge Ivanov, aveva rifiutato di farlo. Motivo: la carta intestata reca il nome della discordia, quello con cui è stato ribattezzato lo Stato balcanico dopo una disputa con Atene durata quasi trent’anni. Quel nome che ha spianato la strada verso l’adesione di Skopje alla Nato e all’Ue.

Ivanov era rimasto l’ultimo, tenace oppositore nelle istituzioni macedoni al cambio del nome. Lo aveva denunciato in tutte le tribune politiche, nel Paese e all’estero, in Europa e alle Nazioni Unite. Quel nome, Macedonia del Nord, era uno sfregio alla sovranità nazionale. Imposto dal vicino, la Grecia, che aveva contestato il nome, Macedonia, che l’ex Repubblica della Jugoslavia si era data al momento della dichiarazione d’indipendenza nel 1991.

È toccato al premier socialdemocratico macedone Zoran Zaev e alla sua controparte greca, Alexis Tsipras, mettere la parola fine a quella disputa. L’accordo, firmato lo scorso giugno sulle rive del lago Prespa, però ha lasciato dietro di sé una lunga scia di accuse e recriminazioni. Eppure uno a uno sono stati superati tutti gli ostacoli che si frapponevano all’entrata in vigore. Il referendum, la ratifica dell’accordo del parlamento macedone prima e di quello greco poi, le modifiche costituzionali richieste dal trattato.

Il voto delle presidenziali di domenica scorsa archivia definitivamente questo capitolo. Il candidato socialdemocratico Pendarovski si è imposto al ballottaggio con il 51.66% dei voti sulla conservatrice Gordana Siljanovska-Davkova, ferma al 44.73%. Una scelta che parla da sola: Pendarovski, candidato congiunto della coalizione di governo formata dai socialdemocratici dell’Sdsm e dagli albanesi del Dui, è una figura chiave del processo di adesione del Paese alla Nato.

Determinante è stato il voto della comunità albanese che si è compattata intorno al neoeletto presidente. In alcuni comuni a maggioranza albanese come Saraj, Zhelino, Bogovinje, il socialdemocratico ha superato il 90% dei consensi. Un vero e proprio plebiscito che gli ha consentito di mantenere un considerevole vantaggio su Saljenovska-Dankova.
Polarizzato, invece, il voto degli slavo-macedoni che si spaccano a metà tra i due candidati. Una polarizzazione che riflette lo strappo provocato dall’accordo sul nome che non a caso è stato uno dei temi dominanti della campagna elettorale.

Altro dato importante è quello relativo all’affluenza. Il timore alla viglia del voto era che non si riuscisse a superare il quorum, pari al 40% degli aventi diritto al voto. Quella soglia era stata raggiunta di poco al primo turno quando si era recato alle urne appena il 41.67% degli elettori.

Al secondo turno, invece, si è registrata un’affluenza maggiore, pari al 46.7%. Una percentuale elevata se si considera la scarsa partecipazione dell’elettorato macedone alle presidenziali che vengono di solito accorpate ad altre elezioni ritenute più importanti, come le politiche e le amministrative.

L’affluenza però non è stata omogenea su tutto il territorio. In molti comuni a maggioranza slavo-macedone ha superato il 60% per inabissarsi al 20% in quelli popolati per lo più da albanesi. Una disparità che misura da un lato, la distanza della minoranza albanese dalle istituzioni dello Stato e dall’altro, la necessità di stabilità, particolarmente sentita nell’elettorato slavo-macedone dopo anni di crisi politico-istituzionali.

E sono proprio queste – unità, consolidamento delle relazioni interetniche e stabilità – le sfide che dovrà affrontare Pendarovski sul piano interno. Su quello internazionale si troverà invece a traghettare il Paese nella fase di transizione verso la Nato e l’Ue, due istituzioni profondamente in crisi che continuano tuttavia a esercitare una forte attrattiva in questo angolo d’Europa. E se il primo è un obiettivo che presumibilmente verrà raggiunto entro la fine dell’anno, per il secondo potrebbero volerci anni. Del resto al vertice di Berlino sui Balcani della settimana scorsa il presidente francese Emmanuel Macron è stato chiaro. Skopje dovrà ancora attendere prima di entrare nella fase cruciale dell’adesione all’Ue. Che abbia cambiato nome o meno, per Parigi, è una questione del tutto secondaria.

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