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Macchine intelligenti? Solo se la politica rinuncia alle scelte

Macchine intelligenti? Solo se la politica rinuncia alle scelte

Codici aperti «Al posto tuo» di Riccardo Staglianò per Einaudi. Un’inchiesta sul rischio che l’aumento di automazione, software e connesioni web produca una diminuzione della forza lavoro nel mondo

Pubblicato più di 8 anni faEdizione del 12 aprile 2016

In un articolo del 1941, Herbert Marcuse sosteneva che la tecnologia, sebbene fosse responsabile per il ripiegamento della società sulla razionalità dell’apparato, avrebbe potuto liberare gli esseri umani dalle loro incombenze materiali e ripetitive consentendo loro di «individualizzarsi nella sfera della realizzazione umana, oltre il regno della necessità». Di tutt’altro parere era invece pochi anni dopo Norbert Wiener, il padre della cibernetica, che dal 1948 in poi metteva in guardia i sindacati contro la forza distruttiva della tecnologia sia per i lavori poco qualificati, sia per i cosiddetti «colletti bianchi». La proposta di Wiener prevedeva che le remunerazioni non riguardassero la produttività dei lavoratori ma la loro necessità, considerando che essere in competizione con la macchina per un lavoratore significava essere poco più che schiavi.

Negli ultimi settant’anni il dibattito su lavoro e tecnologia non ha ancora trovato risposte univoche. Il libro di Riccardo Staglianò Al posto tuo (Einaudi, pp. 246, euro 18), è un’inchiesta sul rischio che l’aumento di automazione, software e connesioni web produca una diminuzione complessiva della forza lavoro nel mondo.

La citazione di Wiener in esergo al libro ci fa capire da che parte si collochi l’autore in questo dibattito. L’analisi spazia tra moltissimi campi, dal trasporto di persone e merci ai call center, dalla vendita dei libri alla fabbrica, dalla medicina al giornalismo, passando per il mercato finanziario, la fotografia e le università e i settori, già molto sofferenti, della produzione artistica video e musicale. Il risultato è sempre lo stesso: una diminuzione di posti di lavoro. Colpisce che l’autore accomuni «web e robot» tra i ladri di lavoro. Ci sono delle differenze tra loro e forse sarebbe meglio mostrarle. Ma qui si assume un discorso comune. Una possibile spiegazione di questa scelta è che i Big Data, raccolti attraverso la rete, sono lo strumento che porta l’intelligenza artificiale a un nuovo stadio di sviluppo, usando la mediazione di potenti algoritmi di machine learning. È la collettività insomma che «alleva» con le proprie informazioni una nuova generazione di software cosiddetti intelligenti.

Il tema centrale del libro è il «grande disaccoppiamento» tra crescita della produttività e aumento dell’occupazione. Secondo questa ipotesi le innovazioni, senza il governo della politica, non sempre produrrebbero benessere per i cittadini comuni. In questo contesto – è la tesi condivisibile di Staglianò – molti, anche appartenenti alle classi medie, non sarebbero in grado di sfruttare i benefici dell’automazione non avendo il capitale materiale, cognitivo e sociale necessario.

Il reddito di cittadinanza o di esistenza sembra essere una richiesta razionale per affrontare questo difficile passaggio. Lo chiedono i grandi industriali californiani della tecnologia da destra, e, in forma radicalmente diversa, gli esponenti della sinistra radicale europea (per esempio Marco Bertorello e Christian Marazzi 21/9/2015 e 5/11/2015 sul Manifesto nella forma di quantitative easing for the people). Sarebbe d’accordo anche Wiener. Se la politica riuscisse ad affrontare il problema del rapporto tra lavoro e tecnologia, scegliendo di governarlo davvero invece di fare la retroguardia, si tratterebbe di un autentico miracolo.

Bisognerebbe anche fare un’altra operazione, epistemologica e teorica, ma non meno politica. Domandarsi cosa significa ritenere che una macchina possa essere intelligente. Molto spesso gli esseri umani agiscono senza avere a disposizione una soluzione razionale o perfetta: come si sceglie tra investire un bambino che attraversa la strada o rischiare un incidente che possa essere dannoso o letale per i passeggeri? Quale algoritmo potrebbe dare la soluzione alle driverless car per questo dilemma? La scelta sarebbe in ogni caso non della macchina, ma dell’algoritmista che la compie in astratto e implicitamente. Attribuire intelligenza alle macchine significa sottovalutare la frequenza delle decisioni prese in situazioni di grave opacità cognitiva: la maggior parte delle azioni umane, infatti, riguardano problemi che non sono rappresentabili senza ambiguità, ma il computer non può gestire l’imprecisione.

Come si fa a cedere la responsabilità alla macchina in questi casi? La scelta è politica e ideologica molto più che tecnica. Ritenere le macchine in grado di decidere in molti campi della conoscenza significa usare due ipotesi nascoste: 1) che i dati che la macchina manipola siano privi di interpretazione e perciò costituiscano una perfetta descrizione della realtà; 2) che la razionalità della macchina sia migliore, in ogni caso, di quella confusa e parziale degli esseri umani.

Siamo veramente sicuri che sia meglio preferire l’apparato decisore, alla creatività della nostra capacità decisionale?

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