Torna da stasera al 28 giugno al Teatro alla Scala di Milano l’allestimento di Macbeth di Giuseppe Verdi con cui si è aperta la stagione 2021-22, preceduto da un’anteprima il 15 giugno, organizzata nel quadro dell’iniziativa Viva Verdi con cui il Ministero, in collaborazione con i teatri lirico-sinfonici italiani, sostiene il progetto di salvaguardia e valorizzazione di Villa Verdi, la casa-museo del compositore a Sant’Agata di Villanova sull’Arda. Chi scrive ha visto l’anteprima, ovvero la prova generale dell’opera, con i limiti che essa talvolta comporta (cantanti che in alcuni punti si risparmiano, macchina scenica e movimenti da rifinire ecc.)
L’allestimento di Davide Livermore, con le scenografie di Giò Forma, i costumi di Gianluca Falaschi, i video di D-Wok e le coreografie di Daniel Ezralow azzera il filtro rassicurante della rappresentazione in costume d’epoca e predispone una macchina scenico-drammaturgica complessa (con ledwall a tutto campo e strutture architettoniche imponenti) cui viene affidata una riflessione sul potere ancorata a una contemporaneità che non lascia scampo.Una macchina scenografica complessa curata da Daniel Ezralow

MENTRE I LEDWALL ci mostrano lo skyline di una città che potrebbe essere New York o Chicago rivisitata nella prospettiva onirica di Inception di Christopher Nolan, la scenografia riproduce le architetture milanesi di Piero Portaluppi (in particolare il labirinto che occupa la facciata della seconda delle Tre case nuove strambe, progetto del 1926 mai realizzato, che torna nello spettacolo in diverse dimensioni come leitmotiv), racchiudendo una storia di ambizione sfrenata fuori dal tempo, che può riguardare indifferentemente un barone scozzese dell’Anno Mille e un politico o un capitano d’industria di oggi. Ultracontemporanea anche la traduzione digitale della dimensione inconscia dell’opera (le allucinazioni di Macbeth, il sonnambulismo di Lady Macbeth, il dolore degli scozzesi sopravvissuti alla guerra).
Sul podio c’è Giampaolo Bisanti, che imprime al suono dell’orchestra una rotondità accattivante e una modulazione che trova il suo equilibrio nel mezzo forte e allo stesso tempo chiede ai cantanti di stare quasi sempre sulle mezze voci, risparmiando i forti e i fortissimi per le sezioni concertate (come il finale del I atto). Il mordente non è altissimo, la tenuta d’insieme talvolta si sfilaccia, ma nel complesso l’edificio musicale sta in piedi.

LUCA SALSI mostra una volta ancora un fraseggio ricco e pieno di sfumature unito a una tecnica vocale granitica, che gli consentono di scolpire un Macbeth a tutto tondo, divorato da una ambizione pusillanime ma venata di elementi di coscienza; Ekaterina Semenchuk tratteggia una Lady Macbeth grifagna, carnale e immorale risolvendo scolasticamente l’impervia cavatina del I atto, cominciando a lasciarsi andare nel brindisi del II atto e dando il meglio nella scena del sonnambulismo del IV atto. Ottimi il Macduff eroico anche se a tratti impacciato di Fabio Sartori e il Banco statuario di Jongmin Park.