Maas, gioventù berlinese del filologo con il violino
Vite per i Classici In una cartolina del febbraio 1949 riemersa a Gerusalemme nel fondo Walzer, il grande studioso tedesco, che era riparato a Oxford per fuggire dai nazisti, viene rievocato da un amico quand’era diciottenne a Berlino
Vite per i Classici In una cartolina del febbraio 1949 riemersa a Gerusalemme nel fondo Walzer, il grande studioso tedesco, che era riparato a Oxford per fuggire dai nazisti, viene rievocato da un amico quand’era diciottenne a Berlino
La vita di Paul Maas (1880-1964), filologo classico e bizantinista fra i maggiori del Novecento, autore non solo della celebre Textkritik, pubblicata la prima volta nel 1927, ma di un numero imponente di lavori che spaziano dalla letteratura, lingua e metrica in àmbito greco, bizantino e latino alla paleografia greca e alla storia bizantina, fino alla letteratura inglese, ci è nota solo in parte: ne conosciamo i principali avvenimenti, certo, ma molto ancora ci sfugge, vuoi per il suo carattere schivo e riservato, vuoi per il destino di ebreo tedesco costretto nel 1939 a espatriare in Inghilterra, e più precisamente a Oxford, dove sarebbe rimasto fino alla fine dei suoi giorni. Per via della dispersione della sua ricca biblioteca e delle carte, oltremodo preziose risultano le tracce, non solo del suo acume filologico ma delle sue vicende biografiche, che troviamo talvolta nei margini di libri ed estratti a lui appartenuti e, a maggior ragione, nei frammenti della sua folta corrispondenza.
Alle lettere e cartoline già individuate possiamo ora aggiungere quelle che intorno alla metà di gennaio di quasi due anni fa, in una Gerusalemme inondata di luce e sfolgorante sotto un cielo di cobalto, chi firma queste righe ha avuto la ventura di scoprire negli archivi della Biblioteca Nazionale di Israele. Sono cartoline e lettere di più di novanta corrispondenti conservate, insieme a molte minute delle risposte maasiane, in due filze che fanno parte del fondo di Richard Walzer, un altro ebreo tedesco, filologo classico e arabista, fuggito anch’egli dalla Germania nazista e, all’indomani della promulgazione delle leggi razziali, dall’Italia fascista dove pure in un primo tempo aveva trovato rifugio, e quindi egualmente approdato a Oxford, dove strinse una vera amicizia con Paul Maas, di cui negli anni venti era stato allievo a Berlino. Fra i tanti corrispondenti figurano studiosi più o meno famosi (rientrano senz’altro nella prima categoria nomi come quelli di Eric Dodds, padre André Festugière, Ioannis Kakridis, Karl Kerényi, Edgar Lobel, Eduard Norden, David Roy Shackleton Bailey), e non mancano vari studiosi italiani come Luigi Castiglioni e Carlo Gallavotti, Arnaldo Momigliano e Franco Munari, e Giovanni Gentile, la corrispondenza con il quale riguarda la voce relativa alla ‘Paleografia greca’, commissionata a Maas per l’Enciclopedia Treccani.
Ma vi sono anche missive di persone legate a Maas per altre ragioni. Spicca fra queste ultime la cartolina postale inviatagli da Zurigo il 12 febbraio 1949 da Georg Walter, che ci regala un ritratto di Maas poco più che diciottenne difficile da dimenticare: «Stimato, caro professore, / può immaginare quanto io sia rimasto sorpreso nel ricevere per il tramite di mio figlio un suo saluto da Oxford, che in modo vivissimo mi ha fatto tornare alla mente la gara di versi composti alla maniera di Catullo, la sabbia calpestata sulle spiagge di Rügen, e le ore di comuni gioie musicali. Ho poi aperto il mio diario del periodo berlinese, e mi accorgo adesso che proprio oggi cinquant’anni fa, la domenica del 12 febbraio 1899, “un giovane filologo di belle speranze di nome Maas” era venuto col suo violino per la prima volta nella mia stanza nella Elsässerstraße, dopo che un paio di giorni prima ci eravamo incontrati al concerto della Filarmonica. Da allora ho avuto sul suo conto solo notizie di seconda mano, e devo ammettere con un senso di vergogna che non conosco i suoi lavori poiché, accanto alla mia attività d’insegnante, per così dire non mi sono più occupato di filologia, ma ho trovato la mia occupazione preferita nel campo della ricerca musicale, dove il metodo esatto appreso come filologi si può tuttavia utilizzare lo stesso. Delle sue vicende mi ha raccontato qualcosa la signora Zimmermann; e probabilmente adesso si occupa ancora di problemi di metrica, in quel campo dove già allora lei primeggiava nel seminario di Wilamowitz. / Con i migliori saluti il suo compagno di camminate di un tempo / Georg Walter».
In poche righe troviamo qui riuniti vari dettagli che possono contribuire a trasmettere un’idea più concreta dell’uomo ‘trasparente e misterioso’ (la definizione è di Luigi Lehnus) che è stato Paul Maas. Anzitutto, è evocata in filigrana, insieme al gusto del pastiche letterario, la predilezione per Catullo, che insieme a Lucrezio era probabilmente il poeta latino preferito di Maas, il quale alla poesia latina, e in particolare al plurale poetico, doveva di lì a qualche anno dedicare la propria tesi di dottorato; sono poi ricordate le camminate sulle spiagge di Rügen, l’isola del Mar Baltico dalle tante distese di sabbia e dalle bianche scogliere, che lasciano trasparire quell’entusiastico amore per la natura di cui Giorgio Pasquali avrebbe addirittura parlato esplicitamente in una pagina famosa della sua grande recensione del ’29 alla Textkritik; vi compare la musica, esperienza vitale per Paul Maas, che oltre al violino sapeva suonare anche la viola e il pianoforte (al piano, come apprendiamo da un’altra struggente lettera conservata anch’essa a Gerusalemme e scrittagli da Parigi, sempre nel dopoguerra, da Erhard ? Walz, egli suonava un tempo soprattutto l’amato Bach), e insieme con la moglie Karen che lo accompagnava con il violoncello, fino all’esilio in Inghilterra era stato solito fare musica da camera tra le mura domestiche; è richiamata la metrica, disciplina in cui Maas dette prova della propria originalità e penetrazione critica fin da quando era studente, scrivendo fra l’altro, quasi un anno dopo la domenica ‘risuscitata’ dalla nostra cartolina, e proprio per seminario lì menzionato, un lavoro sulla colometria nei dattilo-epìtriti di Bacchilide destinato a diventare uno dei suoi saggi più famosi; e, last not least, da quello scorcio di una Berlino ancora ottocentesca ci viene incontro l’ombra di Wilamowitz, il maestro che aveva subito riconosciuto il valore di quel suo giovanissimo allievo, con il quale avrebbe in séguito stabilito un rapporto umano di rara intensità e probità scientifica.
Tornando all’oggi, occorre dire che come lo studio dei nuovi documenti che un po’ alla volta riemergono alla luce, così anche la rilettura degli scritti maasiani pubblicati in vita – scritti perlopiù di dimensioni assai ridotte ma tutti allo stesso modo avvincenti e ricchi di nuove prospettive, che nonostante il passare degli anni conservano inalterato il loro smalto – spinge a misurarsi ancora con un pensiero filologico che ha pochi eguali per forza concettuale ed eleganza di stile. Uno stile il cui stigma, com’è noto, è la brevità, spesso associata al rigore della matematica, ma che in virtù della sua densità significativa tiene molto, e forse ancor più, del rigore della poesia, che del resto era una delle grandi passioni maasiane, anche di là dagli interessi e dalle competenze di filologo.
Per ricordare la sua figura a sessant’anni dalla scomparsa e verificare l’attualità del suo pensiero, a ridosso del giorno del suo compleanno che cadeva il 18 novembre, martedì 19 si riunirà a Göttingen un drappello di studiosi guidati da Michael D. Reeve – colui che negli ultimi decenni, nel solco di Maas, più di altri ha dato un sostanzioso contributo al dibattito sui metodi della critica testuale: essi hanno accolto il generoso invito di un giovane e valente filologo italiano, il dott. Antonio Tibiletti, il quale ha voluto organizzare una giornata di studi dedicata a Paul Maas, incentrata su quelli che probabilmente sono stati i suoi tre principali àmbiti di ricerca: la metrica greca e bizantina, la paleografia greca e la teoria della critica testuale. Sarà, questa, un’occasione per continuare a più voci il dialogo con uno studioso che non ha smesso di esserci maestro, e di sorprenderci.
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