Ma per Bruxelles l’Afghanistan è un paese sicuro
Sono 80 mila gli afghani che l'Unione europea vuole rimpatriare Gli ultimi li hanno fermati proprio mentre stavano per essere imbarcati sull’aereo che ieri da Berlino li avrebbe riportati a Kabul: un gruppo di profughi afghani la cui domanda di […]
Sono 80 mila gli afghani che l'Unione europea vuole rimpatriare Gli ultimi li hanno fermati proprio mentre stavano per essere imbarcati sull’aereo che ieri da Berlino li avrebbe riportati a Kabul: un gruppo di profughi afghani la cui domanda di […]
Gli ultimi li hanno fermati proprio mentre stavano per essere imbarcati sull’aereo che ieri da Berlino li avrebbe riportati a Kabul: un gruppo di profughi afghani la cui domanda di asilo è stata respinta dalla Germania e per questo destinati a essere espulsi. Per loro, però, la partenza è solo rinviata. Nel dare notizia dello stop al trasferimento, il governo tedesco ha infatti tenuto a specificare come il camion bomba che ieri ha provocato 90 vittime nella capitale afghana non sposti di un centimetro la politica di rimpatri forzati decisa dalla Germania insieme all’Unione europea.
Attentati o no, l’Afghanistan resta per l’Europa un paese sicuro dove rispedire tutti gli afghani che si trovano sul suo territorio in maniera irregolare. E poco importa se la classificazione «paese sicuro» gronda ipocrisia da tutte le parti, visto il continuo stato di guerra in cui si trova il paese. Del resto i leader europei sono stati chiari quando, ai primi di ottobre dell’anno scorso, hanno siglato con il presidente afghano Ashraf Ghani un accordo per rimpatriare almeno 80 mila suoi connazionali. Intesa alla quale, guarda caso, pochi giorni dopo ha fatto seguito la decisione assunta dall’Ue e dalla comunità internazionale di investire in Afghanistan 15,2 miliardi di dollari in aiuti per il quadriennio 2017-2020. Di questi, 5,2 miliardi di dollari provengono da fondi europei (182 milioni di euro la quota italiana). Nessun collegamento tra gli aiuti e l’accordo sui rimpatri, si è affrettata a specificare Bruxelles, ma la consequenzialità delle due decisioni è evidente.
Come già avviene con le intese siglate con altri paesi considerati uno snodo cruciale per i flussi di migranti (vedi la Turchia), anche il Joint way forward on migration iussues between Afghanistan and Eu, l’accordo su rimpatri e riammissioni, ha come scopo principale quello di facilitare le espulsioni degli afghani che si trovano in uno stato membro senza alcuna base legale, nonché di scoraggiare le partenze di quelli che vorrebbero raggiungere l’Europa. Il testo spiega come saranno privilegiati i rimpatri volontari ma specifica anche come, nel caso questi non siano possibili, non si esiterà a fare ricorso a rimpatri forzati, anche di massa. Unici esclusi dalle espulsioni i minori non accompagnati, che sarà impossibile rimpatriare senza che prima siano stati rintracciati i genitori o se in Afghanistan non sussistano condizioni di accoglienza adeguate. Prevista infine la creazione nell’aeroporto di Kabul di un apposito terminal dove ricevere i migranti respinti.
Tra le proteste dei Verdi e dalle associazioni umanitarie, è stata proprio la Germania il primo paese europeo a dar seguito all’intesa, segnando così un’inversione di rotta rispetto alla iniziale politica delle porte aperte della cancelliera Angela Merkel che nel 2015 consentì a 890 mila migranti di entrare nel paese. Un charter con 34 afghani a bordo è decollato da Francoforte per Kabul il 14 dicembre scorso, seguito a gennaio e poi a febbraio da altri due aerei. «Mettere semplicemente delle persone su un volo per Kabul, scaricarle e abbandonarle a un destino incerto è da irresponsabili», commentò l’organizzazione per i diritti umani Pro Asyl, mentre in Italia il centro Astalli non ha esitato a definire «illegali» i rimpatri messi in atto dall’Unione europea.
Nel 2016 sono stati 61.800 gli afghani che in uno stato dell’Unione europea hanno potuto beneficiare della protezione internazionale, il 9% del totale e terza comunità più numerosa dopo siriani (405.600, pari al 57% del totale) e iracheni (65.800, pari 9%). Per chi invece si è visto respingere la richiesta di asilo, guerra o meno resta solo il rimpatrio.
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