Internazionale

Ma Obama non cancella l’isola dalla «black list»

Ma Obama non cancella l’isola dalla «black list»Manifestazione per la liberazione dei cinque detenuti cubani negli Usa – Foto Reuters

Cuba Nessuna apertura, nonostante le promesse. E Guantanamo rimane dov’era

Pubblicato più di 11 anni faEdizione del 20 giugno 2013

Che delusione Obama! Cinque anni fa, quando fu nominato presidente degli Stati Uniti, persino l’arcinemico degli States, Fidel Castro, aveva accennato a un’apertura di credito nei confronti del primo nero alla Casa Bianca. Ben presto Fidel aveva fatto marcia indietro. Ma anche i critici più duri coltivavano qualche speranza che nel suo secondo mandato, iniziato a gennaio di quest’anno, Obama avesse le mani più libere dai condizionamenti dei poteri forti Usa e potesse attuare qualcuna delle promesse avanzate nella prima campagna elettorale – chiusura del carcere di Guantanamo, aperture a Cuba nell’ambito di nuove relazioni con l’America latina, solo per limitarsi a questo subcontinente.
Delusione completa. Anche quest’anno l’Amministrazione Obama non ha rinunciato a dare le pagelle e a promulgare liste di proscrizione, di nuovo inserendo Cuba nella “lista nera” dei Paesi che «patrocinano» il terrorismo. L’intento propagandistico di questa operazione politica è tanto evidente, quanto smaccato. Ma è anche una poderosa zappa che l’amministrazione Obama si dà nei piedi di una politica che vorrebbe essere «rinnovata» nei confronti dell’America Latina. Da anni Washington incassa una massiccia opposizione dei Paesi dell’Onu – con l’indecente eccezione dell’appoggio di Israele e delle Isole di Palau – all’embargo (terroristico) che gli Usa unilateralmente hanno imposto a Cuba più di cinquant’anni fa. Ora accusano di terrorismo l’Avana, proprio mentre Cuba è presidente di turno della Comunità di stati latinoamericani e dei Caraibi (Celac), formata da 33 Paesi (ne sono esclusi solo gli Usa e il Canada): in questo modo tutto il subcontinente americano si troverebbe rappresentato da una «nazione terrorista». Non solo, da mesi all’Avana sono in corso le trattative di pace tra guerriglia e governo della Colombia per mettere fine a una guerra che dura da decenni: iniziativa che ha il pieno appoggio dell’Onu.
Non importa, la propaganda, la necessità di dimostrare al mondo chi tiene la leadership e di trovare appoggi internazionali a una politica di sopruso nei confronti di Cuba e la sudditanza della Casa Bianca alla lobby anticastrista di Miami – questa sì implicata in provati atti di terrorismo contro Cuba – fanno premio sulla necessità di rinnovare la politica di Washington nei confronti di un’America latina che si è ormai affrancata dal ruolo di “giardino di casa” degli Usa.
Recentemente Obama ha viaggiato in Messico e Costa Rica, mentre il suo vice Joe Biden, è stata inviato in missione in Brasile, Colombia e Trinidad e Tobago (dove ha quasi incrociato il presidente cinese Xi Jinping). Nei primi giorni di giugno Obama ha ricevuto il presidente del Cile, Sebastián Piñera e ieri il capo di stato peruviano Ollanta Humara. Biden ha definito queste iniziative «il periodo più attivo degli ultimi anni di contatti ad alto livello con l’America latina», regione che «oggi dimostra maggiori potenzialità rispetto al passato». Solo che in questo periodo di vacche magre, data l’acuta crisi economica, non vi sono soldi per «nuovi e audaci programmi di assistenza» ed è dubbio che solo con l’attivismo diplomatico Obama possa «riavvicinarsi» a un emisfero che ha preso le distanze dal vicino imperale. Distanze espresse chiaramente dal comunicato della Celac contro le pagelle etiche diramate da Washington. L’organismo continentale ha infatti riaffermato «il rifiuto alla elaborazione di liste contenenti accuse a Stati che risultano inconsistenti di fronte al diritto internazionale».
Nei giorni scorsi, dopo lo scandalo delle intercettazioni telefoniche e delle mail, alcuni commentatori hanno messo in rilievo come Obama stia continuando la politica di «sicurezza nazionale al di sopra delle leggi» voluta dal suo predecessore George W. Bush, uno dei peggiori presidenti degli Usa. Tanto da etichettarlo con il poco lusinghiero nome di «George W Obama». Questo giudizio negativo vale anche per la politica latinoamericana.

ABBONAMENTI

Passa dalla parte del torto.

Sostieni l’informazione libera e senza padroni.
Leggi senza limiti il manifesto su sito e app in anteprima dalla mezzanotte. E tutti i servizi della membership sono inclusi.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento