Rubriche

Ma di quale Occidente stiamo parlando?

In una parola

In una parola La rubrica a cura di Alberto Leiss

Pubblicato circa 3 anni faEdizione del 24 agosto 2021

La “nostra” sconfitta e Il caos a Kabul moltiplicano considerazioni malinconiche e anche ridicole e irritanti da parte di chi non ha mai avuto dubbi sulla “superiorità” dell’Occidente rispetto a altre civiltà del pianeta – un mondo che stiamo provando tutti insieme a distruggere – e sulla pretesa di imporre a suon di bombe la sua idea di come si governa e si vive. Concordo con molte delle osservazioni che – per citare solo due interventi su queste pagine – sono state fatte da Franco Berardi “Bifo” e Pier Giorgio Ardeni sabato scorso.

Ho però un dubbio sul senso da attribuire a espressioni che evocano un finalmente definitivo “tramonto dell’Occidente” o la “fine dell’America”.
Perché identificare il capitalismo e gli attuali governi occidentali, con le idee che in modi diversi rappresentano, con tutta la realtà esistente e esistita in questa parte del mondo?
Marx non è stato forse un pensatore occidentale? E lo stesso “padre” del liberalismo, Stuart Mill? Era uno che dedicava il suo saggio fondamentale sulla libertà alla moglie Harriet Taylor, non – come fanno tanti intellettuali bene educati – perché avesse avuto la pazienza di occuparsi delle cose domestiche mentre lui partoriva teorie geniali, ma perché riconosceva che era stata “l’ispiratrice, e in parte l’autrice, di tutto il meglio della mia opera”. Se in quelle idee c’era anche l’uguaglianza dei diritti per uomini e donne il merito maggiore era certo di Harriet, e del buon feeling della loro relazione.

Un altro discorso è che ancor oggi, quasi due secoli dopo, l’Occidente (cioè alcuni occidentali) le sbandieri con modalità propagandistiche spesso odiose e in realtà le pratichi solo fino a un certo punto.
Non mi auguro che l’America sia finita. Come diceva sempre un vecchio compagno del servizio economico dell’Unità (Renzo Stefanelli), il “socialismo” se tornerà con una possibilità di vittoria – e senza le tragiche scelte sovietiche – verrà proprio dall’America. Non era l’idea di Marx che una vera libertà e giustizia per gli uomini – e magari anche per le donne – sarebbe potuta venire solo dai “punti alti”, più sviluppati, del capitalismo stesso?

L’Occidente è tante cose diverse e molto contraddittorie. Questa batosta subita in Afghanistan dovrebbe poter essere utile – e utilizzata – per far emergere qui da noi il meglio di un pensiero critico su come vanno le cose, e di comportamenti coerenti con una diversa idea di società, di politica, di convivenza.
Saper leggere e ascoltare le differenze “tra noi” serve anche a vedere la complessità e le differenze tra gli altri. Ieri su la Stampa un pezzo interessante di Donatella Stasio, giornalista e esperta di diritto (è responsabile della comunicazione della Corte Costituzionale). Racconta dei tentativi in Afghanistan, per iniziativa italiana, di trovare vie di conciliazione, che sarebbero possibili, tra i principi liberali – i diritti individuali – e quelli della Sharia. Un modo di verificare nel vivo di relazioni pazienti tra persone quanto possa essere fondata l’idea di Amartya Sen che qualcosa che assomiglia alla democrazia esista anche in culture molto distanti dalla nostra.

Tentativi troppo deboli e falliti perché l’intervento in Afghanistan non ha voluto e saputo investire – in denaro, competenze, intelligenze – proprio nella conclamata intenzione di aiutare il paese a darsi istituzioni migliori.
Allora va anche detto che la scelta di Trump e Biden (ma era anche l’idea di Obama) di venirsene via – al netto del brutto pasticcio di queste cruciali settimane – non è una scelta sbagliata. Il peggio sarebbe ora un’altra giravolta e trovare nuove vecchie giustificazioni per rifare la guerra.

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