Visioni

Ma che piccola luna… Gioia senza rivoluzione per i Coldplay

Ma che piccola luna… Gioia senza rivoluzione per i ColdplayColdplay – foto di Anna Lee Highres

Note sparse È uscito «Moon Music», decimo album della band inglese molto lontano dallo stile degli esordi

Pubblicato circa un mese faEdizione del 9 ottobre 2024

Per superstizione, o più probabilmente per esaurimento, i compositori dell’Ottocento tendevano a fermarsi alla nona sinfonia, oltre la quale giuravano di intravedere le colonne d’Ercole della creatività musicale. I Coldplay hanno già annunciato che chiuderanno a quota dodici, promettendo altri due album dopo il nuovo arrivato Moon Music; il cui protratto ascolto ci indurrebbe a replicare che non è assolutamente necessario e che ci accontentiamo volentieri della cifra tonda. Esso suona infatti come la temuta conferma dell’irreversibile rotta intrapresa ben prima di Music of the Spheres (2021) da parte del «sesto gruppo più premiato della storia», che sicuramente avrà tempo e modo per scalare altre posizioni puntando dritto ai Grammy e consolidando il filone più gioioso e motivazionale del pop contemporaneo. Con buona pace di chi ancora aspettava un ritorno allo stile passato, non dico di Parachutes ma almeno di A Rush of Blood to the Head, l’album inciso all’indomani dell’11 settembre da cui a ben vedere parte quella stessa «poetica della resilienza» sempre più egemone nei testi della band (e non solo dei loro).

SE I VERSI esprimono continuità, dal punto di vista musicale è solo la superficie uditiva a mostrare reminescenze stilistiche, con la title track che in apertura regala quattro minuti e rotti di speranze, subito affossate da feelslikeimfallinginlove: un refrain da otto battute per sintetizzare i marchi di fabbrica armonici, ritmici e melodici delle recenti hit (Higher Power, per dirne una). L’atto di fede di We Pray, calando il poker di featuring (Little Simz, Burna Boy, Elyanna e Tini) azzera poi ogni residua aspettativa di originalità con un loop armonico su cui si alternano rap, urban pop e una lallazione corale simile, più che ai Coldplay, ai jingle dei nostri vecchi spot con lo chauffeur Ambrogio. Tutto si risolve sul dance floor di Aeterna, climax per i Good Feelings e per gli arcobaleni che in forma di emoj intitolano la traccia n. 6.
Coerente con i temi astrali di fondo, anche la vocalità del frontman si spinge verso l’alto in registri sempre più propensi a cedere al falsetto, perfetto embodiment dell’ottimismo iperglicemico di questa nuova guida galattica per ritrovare se stessi: il pop patinato di Moon Music è una sorta di «andrà tutto bene 2.0» che francamente sa un po’ troppo di evasione, un guardare alle stelle per distogliere dall’attuale contesto storico-culturale l’attenzione della band e del suo pubblico. Atteggiamento rischioso, perché è già tendenza.

SENZA DUBBIO bisogna dare a Chris ciò che è di Chris (senza dimenticare l’altro Martin, Max, co-produttore dell’album), riconoscendo in brani come Jupiter e All My Love una penna ancora felice, e in iAMM un degno erede del loro canzoniere «anni dieci». Ma non è abbastanza per dissipare quella coltre rosa-shocking che si apre verso un sistema solare pop di cui i Coldplay sono ormai il pianeta principale; o meglio, il gigante gassoso da cui non dovremmo attenderci rivoluzioni.

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