Ma a Nord il favorito è l’ex ministro degli esteri Abdullah Abdullah
L'analisi Abdullah è un esponente di primo piano del Jamiat-e-Islam, il partito a prevalenza tajika. «Sarà votato perché quando era mujahed ha combattuto i sovietici e conosce bene i problemi della povera gente»
L'analisi Abdullah è un esponente di primo piano del Jamiat-e-Islam, il partito a prevalenza tajika. «Sarà votato perché quando era mujahed ha combattuto i sovietici e conosce bene i problemi della povera gente»
La strada che conduce a Faizabad da Kunduz, città settentrionale a 60 km dal confine tajiko, è tra le più belle del paese. Più ci si inoltra verso est, puntando all’estremità nord-orientale dell’Afghanistan, più ci si immerge nel verde brillante dei campi coltivati, fino a quando spuntano le vette ancora innevate che annunciano il Badakhshan, una delle province più povere del paese, di cui Faizabad è capoluogo. Si attraversano villaggi contadini che sembrano tagliati fuori da tutto, perfino dai dibattiti politici che infiammano il resto del paese per le elezioni del nuovo presidente e dei rappresentanti dei 34 consigli provinciali. A Faizabad è tutta un’altra storia. Qui a dominare il paesaggio cittadino sono i cartelli elettorali di ogni forma e grandezza. Su tutti primeggiano quelli di Abdullah Abdullah, già ministro degli Esteri e leader dell’Alleanza del nord oltre che esponente di primo piano del Jamiat-e-Islami, il partito a prevalenza tajika fondato negli anni Settanta da Burhanuddin Rabbani, l’ex presidente afghano fatto fuori dai Talebani nel settembre 2011.
Come in altre province settentrionali anche qui il favorito è lui. Molti si dicono certi che sarà eletto. «La gente lo voterà perché è stato un mujahed che ha combattuto con coraggio i sovietici e perché conosce bene i problemi della povera gente», racconta Qazi Sadullah Abu Aman, per il quale «il dottor Abdullah è l’uomo giusto per sostituire Karzai, che è corrotto e non ha saputo dare niente agli afghani». La voce di Abu Aman non è una tra le tante. Questo sessantenne dalla folta barba bianca e il soprabito tradizionale poggiato sulle spalle è infatti uno dei pesi massimi della politica del Badakhshan. Già senatore, capo della sezione provinciale dell’Alto consiglio di pace, illustre esponente del Jamiat, oggi è candidato alle elezioni provinciali e capo della Shura-e-Ulema, il consiglio dei religiosi. Per lui non ci sono dubbi: «Abdullah vincerà».
L’unico ostacolo potrebbero essere le frodi. «Karzai sta usando le istituzioni governative per aiutare il suo candidato, Zalmai Rassoul», sostiene. Il ricordo delle presidenziali del 2009, quando Abdullah rinunciò al ballottaggio accusando Karzai di aver manipolato i risultati, è ancora forte. Tanto che perfino Abdullah è arrivato a minacciare velatamente il ricorso alle armi, se qualcosa dovesse andare storto. Abu Aman può permettersi di essere più esplicito: «Se Abdullah sarà nominato presidente, la volontà degli afghani sarà rispettata. Altrimenti – specie se dovesse essere eletto Rassoul – scoppierà un nuovo conflitto e il paese sarà più instabile di quanto non sia ora, perché vorrà dire che ci sono state frodi», sostiene con convinzione. A poche centinaia di metri dalla casa di Abu Aman, nella sede principale del comitato elettorale pro-Rassoul, l’accusa viene respinta al mittente. «Ma quale aiuto, io qui sono il capo e posso garantire personalmente che non abbiamo ricevuto alcun sostegno dal governo, né finanziario né logistico», ribatte a distanza Basir Khalid.
Anche lui nel Badakhshan è un peso massimo. Tutti lo conoscono. Molti lo rispettano. Qualcuno lo teme. In ogni caso è capace di mobilitare consenso e migliaia di voti. E’ stato un mujahed contro i russi, «a fianco di Masoud» tiene a precisare. Conosce personalmente Abdullah. Per questo non fatica ad ammettere che è un rivale di tutto rispetto: «Certo, qui lo conoscono vecchi e bambini, e quando si va al bazar si tende a comprare un prodotto già provato, invece che uno nuovo. Questo è vero, ma Rassoul ha più possibilità di vincere perché ha un programma migliore: ha promesso nuove strade, scuole, ospedali, oltre che nuovi posti di lavoro nel settore minerario», sostiene. Nel 2009 Basir Khalid coordinava la campagna elettorale per Abdullah. Oggi lo fa per Rassoul. Non sembra vederci niente di strano. Anzi, rivendica ancora l’appartenenza al Jamiat: «Sono un jamiatì da quando era ragazzino, da più di 40 anni. Sono stato il primo comandante a respingere i russi fuori dal Badakhshan. Nessuno può espellermi dal partito, tantomeno Abdullah, che in confronto a me è un ragazzino».
Per Basir Khalid, Zalmai Rassoul non ha bisogno del sostegno governativo per vincere. A dimostrazione della sua forza elettorale cita il comizio fa proprio a Faizabad, a cui avrebbero partecipato migliaia di persone. Gli osservatori più smaliziati non si lasciano però ingannare dalle adunate elettorali. «Tutti i candidati hanno speso molti soldi per assicurare che ai loro comizi partecipasse un elevato numero di persone», spiega Samiullah Saihwn, giornalista per una radio locale, Bayan-e-Shamal. «Hanno pagato i vari comandanti locali, i capo-villaggio e i leader delle comunità locali, così da esserne certi. Sono loro ad aver organizzato le macchine e i pranzi. C’è chi ha partecipato ai comizi di tutti e tre i candidati più forti, Rassoul, Ghani e Abdullah. Per questo è difficile prevedere a chi andranno a finire i voti», argomenta Saihwn. «Qui in città la gente in qualche modo conosce i propri diritti, sa che può scegliere il candidato che ritiene migliore. Nelle aree rurali, nei distretti fuori città, le cose vanno diversamente. Lì l’informazione è scarsa, come l’istruzione. Non c’è consapevolezza della posta in gioco», continua. «Nei villaggi le competenze non sono un criterio di scelta. Lì conta chi ha la barba più lunga. La gente segue quel che gli viene detto dal mullah, dal comandante o dal potente di zona». Per la dottoressa Anisgul Akhgar – già a capo del Dipartimento per gli affari femminili della provincia di Badakhshan e direttrice della Relation & Cooperation Women Organisation -, il voto sarà fortemente differenziato tra città e campagne. «A Faizabad ho percepito una gran desiderio di cambiamento, una forte volontà di voltare pagina con il voto. Qui lo si può fare perché si è liberi di scegliere chi si vuole. Nei distretti rurali sono i potenti locali a raccogliere le carte elettorali o a imporre un candidato».
Per questo, Anisgul Akhgar ritiene che il voto non sarà regolare: «Non è stato presa nessuna seria iniziativa per impedire le frodi». A dispetto di tutto, la dottoressa Akhgar non rinuncerà al voto. Anche l’attuale direttrice del Dipartimento per gli affari femminili ci prova. «Grazie ai nostri programmi di informazione siamo riuscite a raggiungere più di 2.000 donne», racconta Zofanoon Hassam nel suo ufficio, nella parte nuova della città, appena sopra al fiume Kokcha.
«Qui nel nostro ufficio centrale abbiamo un centro di registrazione. Molte donne hanno ottenuto la carta elettorale proprio qui. Secondo gli ultimi dati, a Faizabad l’hanno ricevuta 78.000 donne, il 44% del totale. Potranno andare a votare, se lo vogliono». È un risultato di cui Zofanoon Hassam si dice fiera. Anche se riconosce che la strada di una piena partecipazione femminile alla politica è ancora lunga: «In molte zone sono i mariti a dire alle donne chi votare. E’ una cattiva abitudine culturale».
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