Ormai non passa giorno senza che qualcuno del M5S non proponga di sfiduciare un ministro o addirittura di togliere il sostegno al governo Draghi. Un clima sempre più rovente in quello che è ancora il primo partito in Parlamento, e che oscura le sparate di Salvini e le tensioni con il Pd di Letta.

Ieri è toccato ad Angelo Tofalo, già sottosegretario alla Difesa (immortalato nel 2018 con mimetica e fucile) dare sfogo a un pensiero che sta circolando insistentemente: «Credo sia doveroso chiedersi se sia ancora realmente necessario sostenere un governo Draghi. Forse non più e porrò questo tema a Giuseppe Conte e ai ministri del M5s».

Il ragionamento è semplice: non siamo più nel pieno dell’emergenza come a febbraio, quando «abbiamo risposto in maniera matura all’appello del Capo dello Stato», dice Tofalo, un tempo vicinissimo a Luigi Di Maio. Ora che «la luce in fondo al tunnel si inizia a vedere», per il M5S è arrivato il momento di dire basta.

La lista delle delusioni è lunga: in testa c’è il ministro della transizione ecologica Roberto Cingolani, fortemente voluto da Grillo, e ora lontanissimo dai grillini sui temi ambientali. Contro di lui è partita addirittura l’idea di una mozione di sfiducia individuale, fatto inedito per un partito di maggioranza.

In un M5S ancora senza guida, provato da uscite e scissioni, in cerca d’identità, il tema del governo è dirimente. Lo stesso Conte sul punto è amletico: il suo profilo istituzionale di ex premier lo spinge a evitare pubblicamente il fuoco amico contro l’illustre successore. E infatti l’avvocato si premura di far sapere di voler «incanalare il disagio dei parlamentari in modo costruttivo verso il governo».

Ma rumors interni raccontano invece di un Conte sempre più convinto che il M5S debba liberarsi dall’abbraccio mortale con il “governo dei migliori”. E la riforma della giustizia potrebbe essere il casus belli per arrivare a sganciarsi da una compagnia sempre meno gradita. E del resto i grillini non toccano palla: anche l’intergruppo con Pd e Leu varato in Senato subito dopo la nascita del Draghi 1 per far pesare le idee del Conte 2 si è rivelato un flop.

Dunque si ragiona più sul “quando” che sul “se” uscire. Il 3 agosto inizierà il semestre bianco e Mattarella non potrà sciogliere le Camere fino alla nomina del nuovo Capo dello Stato a inizio 2022. Da quella data tutto è possibile. Senza M5S il governo avrebbe comunque la fiducia in entrambe le Camere.

E se andasse avanti fino al 2023 non ci sarebbero problemi: in un anno e mezzo di opposizione il Movimento potrebbe ritrovare slancio, rinsaldare la ferita con Di Battista e i tanti espulsi perchè non avevano votato la fiducia a Draghi (da Lezzi a Morra), senza per questo rompere con il Pd. Modello Giorgia Meloni.

In questo modo, cercando di evitare o ritardare il voto anticipato, Conte potrebbe tirarsi dietro anche la truppa dei parlamentari che vuole arrivare alla pensione e non ha alcuna intenzione di rinunciare anzitempo allo stipendio, con la quasi certezza di restare fuori al prossimo giro (ma pesa anche la resistenza politica di Luigi Di Maio).

Un muro fortissimo tra i peones della Camera, meno in Senato dove l’avvocato può contare su un nocciolo duro di fedelissimi. Il deputato Sergio Battelli avverte: «Non è il tempo del “muoia Sansone con tutti i filistei”, perché questo succederebbe se il M5S abbandonasse la coalizione portando anche questo governo a una fine prematura. Quando si è in difficoltà non bisogna abbandonare la nave ma portarla in un porto sicuro».

Resta aperto anche lo scontro con Davide Casaleggio sui dati degli iscritti conservati sulla piattaforma Rousseau. «Quello del Garante per la Privacy è un ordine e se qualcuno non lo esegue rischia sanzioni amministrative e penali», avverte Francesco Cardarelli, il legale che segue il M5S nella contesa. Casaleggio (la cui istanza di proroga è stata respinta) in teoria ha tempo fino a domani.