Debutta a Montecitorio passando dal garage. Spunta nell’auletta dei gruppi, gioiello tecnologico costato ai contribuenti un bel po’ di milioni. Si staglia davanti all’opera che Maria Lai ha dedicato al parlamento nel 150esimo della nazione: «Orme di leggi». La legge di Beppe Grillo è semplice, si parla di rimborsi, soldi: «Fanculo i soldi!». Non sono soldi suoi, ma degli eletti a 5 stelle. Hanno accettato la riduzione dello stipendio mensile (prendono 5mila euro lordi). Ma non tutti accettano la rinuncia ai rimborsi non documentati (gli spettano 3.500 euro). Grillo ha deciso: bisogna restituire. «Non si fa la cresta su ciò che non è rendicontato. Metteremo nomi e cognomi di chi vuole tenersi i soldi».

Hanno già cominciato, espellendo Antonio Venturino, vicepresidente dell’assemblea regionale siciliana. Un fiore all’occhiello del Movimento, che però adesso critica la «staticità» dei suoi colleghi romani che «ha consentito a Berlusconi di riprendersi la guida del paese». E il movimento risponde ricordandosi che da febbraio Venturino non rendiconta le sue spese e non restituisce l’eccedenza. «Si tiene i soldi, è un pezzo di merda», sintetizza Grillo.

Venturino è fuori. Ieri sera è già andato in tv da Santoro. Nel frattempo però la linea dura di Grillo si è ammorbidita. Niente lista nera. Troppe le proteste di deputati e senatori costretti a far quadrare i conti. Del resto quando hanno fatto un referendum online tra loro, i 160 eletti, la maggioranza ha deciso di tenersi la libertà di coscienza su quei soldi. Che a volte non per tutto ci sono le ricevute.

Finita l’assemblea una nota cerca di far quadrare tutto, la legge di Grillo e le riserve degli eletti. «Per quanto riguarda la diaria le decisioni saranno prese dall’assemblea dei parlamentari», spiega il gruppo di comunicazione. Lo stesso che aveva diffuso poco prima via twitter il verbo di Grillo. E i suoi ultimatum. Insieme alla raccomandazione di volare alto: «Lavoriamo sui 20 punti del programma, referendum propositivi senza quorum e leggi di iniziativa popolare». Ma è sui rimborsi che la lingua batte. E sulla tv: del resto un primo senatore, Marino Mastrangeli, è già stato sacrificato sull’altare del divieto di talk show. Anche qui la linea è in evoluzione: «Andate in tv a spiegare ai cittadini le nostre idee». Dice Grillo. Purché non sia un talk show, come Porta a Porta. Dove il capogruppo dei senatori Vito Crimi è già stato, ma senza altri ospiti in studio. «Fermatevi per strada a rispondere ai giornalisti», aggiunge Grillo. Le cui fughe dalle telecamere sono diventate un genere dell’informazione tv.

«È stata un’assemblea molto partecipata e molto vivace», assicura il gruppo di comunicazione dei 5 stelle al termine. Niente streaming, muti gli account twitter dei parlamentari, è lo stesso ufficio stampa a diffondere sprazzi del dibattito in 140 zoppicanti caratteri. Parla sempre Grillo: «Siamo quelli che prenderemo le macerie di questo paese, come i nostri padri dopo la guerra si aiutavano tra loro», «in molti votano le persone, noi siamo solo programma e se lo sono presi loro…», «il movimento è una rivoluzione di processo, non di prodotto», «noi siamo un gruppo che dobbiamo parlare con le persone».