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M5S allo sbando, Grillo perde pezzi

M5S allo sbando, Grillo perde pezzi

5 Stelle Espulsi i dissidenti, ma con loro altri sei senatori annunciano di voler lasciare il Movimento. Grillo esulta: «Meglio pochi ma più coesi», ma ormai il giocattolo si è rotto. Molti i senatori in lacrime e anche tra i fedeli al leader c’è chi ammette di aver sbagliato. In nottata riunioni separate tra fedeli e dimissionari

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 27 febbraio 2014

«Via». «Fuori». «A casa!». Questa volta la rete non ha smentito Beppe Grillo. Ha obbedito al richiamo del capo di cacciare i senatori dissidenti aderendo in pieno all’appello del «meglio pochi ma più coesi e più forti» sparato dal blog ieri mattina insieme al solito sondaggio per sapere dagli attivisti cosa fare con i ribelli. Democrazia fatta in casa. Il risultato, anche se non scontato, era comunque prevedibile. Lorenzo Battista, Fabrizio Bocchino, Francesco Campanella e Luis Alberto Orellana sono fuori dal Movimento 5 Stelle. A votare per la loro cacciata sono stati in 43.368, dei quali 29.883 favorevoli all’espulsione e 13.485 contrari. «Grazie a tutti» saluta il leader chiudendo i battenti del tribunale virtuale. I fedelissimi, i talebani di Grillo festeggiano, ma molti senatori a cinque stelle, e non solo i quattro epurati, hanno le lacrime agli occhi e minacciano le dimissioni in massa. Fino a ieri sera almeno sei, oltre ai quattro ribelli, avevano già preparato al lettera da consegnare al presidente del Senato. Ma secondo il senatore Roberto Cotti sarebbero almeno una trentina quelli pronti a lasciare. Alla Camera, invece, ha già lasciato il gruppo il deputato Alessio Tacconi e altri cinque sarebbero in procinto di farlo.

Quella che si apre adesso è una partita tutta da giocare. Bocchino, Orellana e Battista hanno annunciato di volersi dimettere da senatori in solidarietà con i colleghi che li hanno difesi e che si preparerebbero a lasciare il movimento. La procedura vuole che le dimissioni vengano votate dall’aula che, per consuetudine, la prima volta le respinge. Ma sul tavolo c’è anche un’altra possibilità. Ci sarebbero infatti i numeri per la costituzione di un nuovo gruppo. Per farlo a Palazzo Madama bastano dieci senatori e se i sei-sette, oltre ai quattro espulsi, che ieri hanno annunciato di voler lasciare il M5S, non faranno marcia indietro (i tentativi in questa direzione sono già cominciati) la possibilità potrebbe diventare reale. E non è detto che interessi solo il M5S. «La fuoriuscita dei senatori 5 stelle è un’operazione a cui guardiamo con interesse», dice ad esempio il civatiano Corradino Mineo, che con il collega Walter Tocci segue da tempo i tormenti interni ai 5 stelle. «Sono persone serie – prosegue l’ex direttore di Rainews parlando dei dissidenti – persone che credono nei valori del M5S e che ritengo debbano essere aiutati. E’ una grossa prova di democrazia. Io ho votato la fiducia per dovere, ma aspetto il governo alla prova dei fatti. Intanto guardo con interesse alla possibilità che al Senato ci sia una gruppo che valuta di volta in volta i provvedimenti del governo».

Altro che stracci. Fossero volati solo quelli ieri per Grillo e Casaleggio sarebbe andata anche bene. Invece la piccola Pompei del M5S si consuma in un clima di veleni: persone che fino a a 48 ore prima sedevano fianco a fianco si scambiano offese pesantissime. Ad accendere la miccia ci pensa come al solito il buon Beppe. Durante la notte deputati e senatori riuniti insieme votano per l’espulsione dei quattro dissidenti in un clima pesantissimo. Al mattino Grillo invitava la rete a fare lo stesso avviando il sondaggio tra gli attivisti. E, tra frasi al limite del delirio, evocando scenari ucraini, si dice pronto a «dare il sangue sulle strade» in vista delle elezioni europee, lascia scivolare il sospetto che dietro le critiche a lui e Casaleggio ci sia ben altro. «Si terranno tutto lo stipendio, 20 mila euro al mese fanno comodo, capisco anche quello», dice il leader. La solita accusa rovesciata su chiunque si permetta di criticarlo. «Grillo mente, è un bugiardo», replica il senatore Orellana. «I senatori non prendono 20 mila euro ma 14 mila, che sono sempre tanti soldi ma noi abbiamo sempre restituito». E anche il deputato Walter Rizzetto attacca il leader: «Metterla solo sui soldi è una vera cazzata. Guarda i rendiconti dei quattro e di altri».

Al Senato intanto si svolge un’altra riunione dai toni drammatici. La senatrice Serenella Fucksia chiede al capogruppo Maurizio Santangelo di invalidare il voto congiunto della notte. «Prima dovevano riunirci noi senatori», afferma. Per regolamento, inoltre, l’espulsione va votata dalla metà dei parlamentari, e così non sarebbe stato. Alla richiesta della Fucksia si associa anche Lorenzo Battista, uno dei dissidenti: «Chiama Grillo e digli che l’assemblea di ieri non era valida», chiede al capogruppo, che per tutta risposta lo manda via dall’assemblea. Battista esce, ma con lui esce anche un’altra decina di senatori: Bencini, Romani, Pepe, Fedeli, Vacciano, Bignami, Campanella, Bocchino, Orellana, Iannuzzi. «Siete peggio dei fascisti, gridano agli ortodossi. La senatrice Bencini lascia l’aula in lacrime. Anche la collega Elena Fattori, fedele a Grillo, ammette: «Forse abbiamo fatto un errore, evidentemente qualcuno ha riferito a Grillo le cose in maniera sbagliata».

A sera, quando l’espulsione è ormai ufficiale, i senatori tornano a riunirsi. Questa volta però sono divisi anche fisicamente: da una parte quello che resta del gruppo del M5S. In un’altra stanza i quattro dissidenti con i colleghi pronti a dimettersi. A sancire che la rottura ormai è consumata.

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