Il celebrato monologo di Patrick Süskind, dove il contrabbasso era definito «più un ostacolo che uno strumento», e si disegnava come «un mostro», destinato a intromettersi con prepotenza «tra due esseri umani che si amano» era sembrato a Stefano Scodanibbio, niente altro se non un pezzo di stucchevole folklore. Molto corrivo, molto banale. Al contrario, Scodanibbio interpretava il contrabbasso come un sistema vegetale, ligneo e cavo, dove esplodeva la vita, e il desiderio si proiettava nell’estensione di tutte le sue voci. Per chi ha avuto la chance di sentirlo, suonato da Scodanibbio, il goffo mostro di Süskind poteva diventare il...