Visioni

L’utopia impossibile di un’America formato miniatura

L’utopia impossibile di un’America  formato miniatura

Al cinema «Downsizing» di Alexander Payne: la Terra e il suo futuro, un racconto esistenziale di un personaggio in fuga. Protagonista Matt Damon

Pubblicato quasi 7 anni faEdizione del 25 gennaio 2018

All’ultima Mostra di Venezia che lo ha scelto come film di apertura (era anche in concorso) la battuta divenuta subito il tormentone del Lido (vizi cinefili/festivalieri) – «Ci sono otto modi per scopare, per sesso, amore, dirsi addio, fare pace, amicizia, pietà, vendetta, soldi» – la dice verso la fine la combattiva Ngoc Lan Tran (Hong Chan), dissidente ambientalista vietnamita «miniaturizzata» ( e senza una gamba) di forza dal governo per sbarazzarsene.

Un’interpretazione che meritava una nomination, ma l’Academy ha dimenticato del tutto Downsizing di Alexander Payne, regista a Hollywood considerato «europeo» – lo dice lui stesso in un’intervista sul quotidiano «Le Monde» – con il tetto di budget sotto controllo.

L’inizio è quello dei film di fantascienza vecchio stile tra le cavie di un laboratorio in Norvegia dove le cellule impazziscono negli esperimenti di uno scienziato che studia il modo per rimpicciolire gli umani e salvare il pianeta da sovrappopolazione e catastrofi.

Sarà proprio il Nutty professor il primo a sottoporsi insieme all’amata consorte all’esperimento, fondando una comunità di «piccoli», un po’ in stile Christiania, destinata a diventare l’alternativa al nostro modo di vita: consumi ridotti, niente inquinamento,miseria, discriminazione ma agio per tutti.

È qui che arriva Paul Safranek, una vita di frustrazioni a cominciare dal nome che nessuno pronuncia in modo giusto. Confinato nella provincia americana con la moglie (Kristen Wiig) ha dovuto mettere da parte le aspirazioni, e ora le ricche small town sono l’occasione che aspettavano: basta chiudere gli occhi e svegliarsi alti dodici pollici per essere felici.

Più che una parabola sui disastri ambientali Downsizing appare però come il romanzo di formazione di un personaggio stonato, i «gaffeur» della vita che piacciono al regista del Nebraska (autore anche della sceneggiatura insieme a Jim Taylor) sospesi tra paralisi e desiderio di cambiamenti, destinati a grandi disillusioni.

Sarà lui, Paul, maschio «comune» a disagio con sé stesso (perfetto Damon) a condurre la vicenda dal racconto filosofico alla commedia punteggiata di personaggi irresistibili (come Christoph Waltz a cui si devono le battute migliori del film), alla quasi fine del mondo attraversando i «temi del presente», l’ambiente, la società e i suoi conflitti – violenza, sopraffazioni, diseguaglianze.

Già perché la terra dei minuscoli non è che il riflesso dell’altra, l’utopia che si rivela impossibile come nei viaggi del Gulliver di Swift. L’americano medio Safranek è perciò costretto a una scelta: se restare nel presente o guardare al futuro, se continuare a chiudersi in sé – come l’America – o imparare a esporsi all’esterno, se piegarsi alle regole o seguire un sentimento di (rivoluzionaria) solidarietà. E poco importa il «formato»: la via di fuga sembra dirci Payne, sta dentro di noi e non fuori e per scoprirne i contorni «liquidi» dobbiamo uscire dal buco, aprire gli occhi, la testa, il cuore.

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