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L’utopia della Iris: cambiare il clima e pure i contadini

Reportage Fondato da un pugno di anarchici, il pastificio di Casteldidone è diventato un colosso dell’economia solidale

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 24 maggio 2018
Luca MartinelliCASTELDIDONE (CREMONA)

Alla Panetteria Luzzara di Malagnino, un borgo di nemmeno 2 mila abitanti alle porte di Cremona, vicino all’ingresso dell’autostrada A21, sono esposte la pasta e le farine della cooperativa Iris. Prodotti biologici del territorio, in una bottega di paese, tra il piccolo banco degli affettati e i sacchetti di crackers artigianali, cotti nel proprio forno.

Siamo a meno di trenta chilometri da Casteldidone, un’altra località della Pianura Padana cremonese, che dal 2016 ospita il pastificio della cooperativa, e in questo momento la panetteria rappresenta una sintesi di quanto mi ha appena raccontato Maurizio Gritta, presidente di Iris: «Il nostro è un biologico per tutti, per noi è fondamentale il legame con il territorio».
Il Gambero Verde lo ha incontrato nel pastificio, un investimento da 20 milioni di euro, garantito e finanziato per un terzo da circa 500 soci, che hanno sottoscritto azionisti mutualistiche emesse dalla Iris. «In quella casa – racconta Gritta, indicando un’abitazione dalla finestra del suo ufficio – vive una coppia di contadini in pensione, che un giorno si sono presentati qua, a cantieri aperti, dicendo che volevano aiutarci, partecipare al finanziamento dell’intervento. E da allora quella famiglia è anche una nostra assidua cliente, che ogni settimana frequenta lo spaccio aziendale, in cascina. Hanno sottoscritto azioni anche il fabbro e il panettiere del paese».

All’ingresso dell’ufficio di presidente della cooperativa, Gritta ha appeso un quadretto con una citazione di Ivo Totti, colui che negli anni Settanta ispirò il gruppo di giovani anarchici che deciserò di dar vita a Iris: «Non ci può essere una reale conversione dell’azienda agricola secondo i criteri dell’agricoltura biologica se accanto alla sostituzione dei concimi e dei pesticidi di sintesi con prodotti naturali non si assiste parallelamente anche ad una profonda trasformazione della mentalità dell’agricoltore».

LUI, A 61 ANNI, RESTA IL GIOVANE ANARCHICO che alla fine degli anni Settanta abbandonò un lavoro da agronomo in una grande azienda del territorio perché non voleva usare i diserbanti. Oggi non si atteggia a imprenditore di successo, anche se Iris è una delle aziende più importanti dell’economia solidale italiana, con circa 16 milioni di fatturato, e resta – fedele all’insegnamento di Ivo Totti – un formidabile agitatore culturale, che attraversa l’Italia per promuovere l’agricoltura biologica contadina. L’ultimo progetto, pensato insieme a Tonino Perna, ordinario di Sociologia Economica all’Università di Messina ed editorialista del manifesto, riguarda l’agricoltura resiliente e i cambiamenti climatici. «Stiamo cercando elementi per rispondere, in modo condiviso, a una domanda che è essenziale per il futuro – spiega Gritta – chi lavora la terra come gestisce il climate change? Non ci aiuta continuare a parlare solo dell’Accordo di Parigi, o dei ghiacci dell’Artico, dobbiamo e vogliamo raccogliere una serie di elementi territoriali. Per questo abbiamo già fatto un’assemblea pubblica, in Friuli, il 9 marzo, e ne terremo altre nel Centro e nel Sud Italia. Vorremmo creare una sorta di osservatorio, che possa utilizzare anche i dati degli enti e delle agenzia regionali per l’agricoltura ma lavori per gestire il sapere contadino».
Il sapere cui fa riferimento Gritta è la capacità di adattamento, che nasce dall’osservazione delle stagioni. «Questo pomeriggio (siamo a fine marzo, ndr) ci sono 17 gradi, ma stamani in cascina ce n’era appena uno, e non è una cosa da Pianura Padana – spiega – In dieci anni abbiamo spostato in avanti di due settimane il trapianto del pomodoro, che raccogliamo comunque dieci giorni prima, nella prima metà di agosto. È a partire da questo che riteniamo necessario rispondere alla domanda “come si gestisce la transizione con la natura”?».

L’ESEMPIO DEL POMODORO di Iris (i prodotti agricoli venduti freschi e trasformati rappresentano circa il 20 per cento del fatturato della cooperativa) è indicativo di un atteggiamento resiliente: «Intanto abbiamo cambiato varietà, ricercandone di più resistenti e con un ciclo di vita più corto di almeno cinque giorni. Per quanto riguarda il trapianto, lo abbiamo spostato per evitare che fioritura ed allegagione (la prima fase di sviluppo del frutto, ndr) avvenissero nel mese di maggio, quando ormai tra il giorno e la notte ci possono essere oltre venti gradi di sbalzo termico, che la pianta non può sopportare» racconta il presidente di Iris Bio.
«Finché avevo 40 anni – ricorda Gritta – maggio era con settembre il più bel mese in Pianura Padana, ma oggi è diventato come luglio. Ha un clima impossibile. E se perdi al momento dell’allegagione il 50-60 per cento della fioritura, potrai avere una bellissima pianta, ma il frutto non c’è».

Senza frutto non c’è economia, e l’agricoltura contadina va in crisi. Un punto fermo dell’intuizione di Maurizio Gritta e Tonino Perna è un convegno nazionale, entro la fine del 2018. Ma soprattutto la nasciata di una banca dati condivisa.

A COSTRINGERE IRIS A GUARDARE al tema dei cambiamenti climatici e all’impatto degli eventi estremi, sempre più frequenti, sull’agricoltura contadina, è stato quanto successo il 5 febbraio di tre anni fa: una nevicata di 40 minuti, attorno a mezzanotte, che lasciò sul terreno 45 centimetri di neve, «con una densità di 225 chili al metro quadrato, secondo i Vigili del Fuoco». Quella neve distrusse tutti i tunnel freddi di Iris, sotto i quali stavano già crescendo insalate e cavoli, già venduti. «Subimmo 450 mila euro di danni, che l’assicurazione non ci ha mai rimborsato. Il valore delle sole strutture in ferro, inutilizzabile, era di circa 150 mila euro di strutture in ferro, più 60 mila euro di teli di copertura. E poi c’è la manca vendita. Nevicate al 5 febbraio in Pianura Padana ci stanno, ma mai di questa intensità: ha nevicato acqua bianca e pesante, perché se fosse stato ghiaccio avrebbe bucato i teli senza fare un danno del genere». Siccome Gritta è abituato a leggere il bicchiere mezzo pieno, oggi ricorda ammirato i consumatori solidali che si autorganizzarono per aiutare i soci di Iris a smontare i tunnel e ad avviare a riciclo ferri e teli: «Il preventivo per lo smontaggio era di 100 mila euro, invece tutto è stato fatto grazie al volontariato».

IRIS ESISTE IN QUANTO RETE tra contadini e consumatori, ed è questo spirito che guida Maurizio Gritta: «Non siamo pastai, è come se questa fabbrica non esistesse: l’abbiamo costruita perché dietro ci sono 300 famiglie contadine sparse in Italia; non a caso la terra e le mura sono di proprietà della cooperativa agricola, che controlla al 100 per cento la società commerciale titolare dello stabilimento. Qui rovesciamo la filiera, in cui il settore conosciuto come primario non ha potere contrattuale, non decide nulla. Il prezzo di filiera lo facciamo in campo: si parte da lì, mentre l’industria parte dal prezzo finale del prodotto, e poi schiaccia tutti i margini riducendoli all’indietro. È per tutto questo che oggi ci preoccupiamo del legame tra cambiamento climatico e agricoltura. Perché il pastificio, che ovviamente deve funzionare, è solo il terminale del progetto agricolo».

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