Economia

L’uscita dall’euro non ci avvantaggerebbe

L’uscita dall’euro non ci avvantaggerebbeFrancoforte, proteste davanti al quartier generale della Bce

L'analisi I benefici della svalutazione sarebbero minimi. E verrebbero travolti da un male ben più grande: la disgregazione dell'Europa

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 10 marzo 2015

Non credo esista una demarcazione netta nelle scienze sociali. Così l’economia si interseca con la storia, e queste si sovrappongono alla politica e alla sociologia: il tema dell’uscita dall’euro non fa eccezione. Le sofferenze sociali soprattutto dei Paesi più fragili dell’Europa, stanno producendo conseguenze sociali che ci fanno chiedere: quanto resiliente sarà la democrazia?

L’euro ha lasciato i cittadini – soprattutto nei Paesi in crisi – senza voce in capitolo sul destino delle loro economie. Gli elettori hanno ripetutamente mandato a casa i politici al potere, ma i nuovi continuano sullo stesso percorso dettato dalla Troika.

Ma per quanto tempo può durare questa situazione? Per quanto tempo ancora le economie (e le stesse istituzioni democratiche) dei paesi periferici sopravviveranno a una unione monetaria incompleta e asimmetrica? Serve un cambiamento strutturale dell’Eurozona se si vuole che l’euro possa sopravvivere e che il suo abbandono non coincida con quello dell’Europa politica.

Credo che l’uscita del nostro Paese si tradurrebbe, tramite i mercati, in un incontrollabile effetto domino – ma siamo too big e too connected per abbandonare l’Unione senza provocarne la disgregazione – che porterebbe in primis al crollo dell’architettura dell’euro e di conseguenza all’abbandono dell’idea di Europa e la possibilità della trasformazione della Grande Recessione in Grande Depressione, se non altro perché l’euro è ormai una valuta di riserva mondiale.

L’euro non è insomma una porta girevole: come avviene sempre nelle cose della vita esiste una freccia del tempo e ritornare indietro può voler dire non ritornare al punto di partenza perché le scelte fatte nel frattempo l’hanno cambiato.

Le svalutazioni precedenti sono accadute in regime di cambi fissi e ciò di per sé muta il contesto rispetto all’uscita dall’unione monetaria. Conseguenze politiche a parte, l’uscita sarà temporalmente lunga e alcune misure saranno necessariamente “repressive” – chiusura dei movimenti di capitale e della Borsa – e pesanti per chi ha debiti in euro o tassi debitori in Euribor.

Uno dei pro, si dice spesso, è che l’uscita dall’euro ci consentirebbe di svalutare e quindi di aumentare la competitività. È un copione già visto, che funziona solo per pochi anni.

Indipendentemente dall’inflazione che potrebbe conseguire, occorrerebbe ricordare che la svalutazione equivale a un impoverimento del paese. Nel caso più favorevole la svalutazione produce un’espansione della produzione quando la crisi ha già messo in moto la ”razionalizzazione” della produzione che coinvolge effetti ridotti su occupazione e salari. Gli interessi sul debito, a meno di avere autarchia finanziaria. Inoltre, le svalutazioni danno respiro temporaneo e non cambiano la struttura produttiva di un paese: quel che davvero occorrerebbe ai Paesi periferici dell’Europa in crisi non per il troppo debito pubblico (come i casi di Irlanda e Spagna dimostrano).

Benefici dalla svalutazione si avranno, ma quantitativamente assai limitati. E per due ragioni.

Intanto ora le nostre esportazioni vivono di qualità. L’export italiano è composto non più dai soli prodotti tradizionali, ma dal made in Italy e dai macchinari destinati all’industria: beni di qualità e poco soggetti alla concorrenza di prezzo. Svalutare non produrrà grandi benefici.

Poi ci sono ora i BRICS sulle cui produzioni, più tradizionali, siamo in concorrenza come Paese a sviluppo recente, ma i costi relativi non sono paragonabili e tali rimarranno anche per svalutazioni eccezionali. Una politica industriale, meglio post-industriale e sostenibile, è la strada.

Il malessere dell’Ue si deve anche a una lunga serie di pessime decisioni di politica economica, a partire da come è stato creato l’euro. Sebbene l’intento sia stato quello di unire l’Europa, alla fine l’euro l’ha divisa: i Paesi più deboli sono riusciti, per ora, a rimanere nell’euro a prezzo di disoccupazione e deflazione salariale, crollo della domanda interna e aumento del “sommerso”. Ma non sarà per sempre.

Quali saranno i costi di una nostra uscita dall’euro resta materia di dibattito. Ciò che pare certo è che senza Europa perderemo tutti.

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