Cultura

L’urlo e il riscatto di Cenzina nelle quattro giornate di Napoli

L’urlo e il riscatto di Cenzina nelle quattro giornate di NapoliLe Quattro giornate di Napoli, tra il 27 e il 30 settembre del 1943

NARRATIVA «La guerra non torna di notte», di Vincenza Alfano edito da Solferino, si avvia dal 27 settembre 1943. Tra storia e memoir, il romanzo racconta la cronaca di quei fatti concitati

Pubblicato 12 mesi faEdizione del 29 settembre 2023

«Jatevenne!», sono mesi che l’urlo cova nei polmoni di Cenzina, pianista mancata, madre e moglie per bene salvata dalla povertà grazie alla benevolenza di uno zio abbiente. Un urlo nutrito di passeggiate solitarie nella Napoli del coprifuoco, nel dolore di una città distrutta, nella fame di interi quartieri e in quella che il benessere famigliare consente in qualche modo solo di sfiorare. Un urlo maturato nella paura che cresce nei rifugi durante i bombardamenti Alleati – perché la bomba, quando cade, prima fa un sibilo e poi esplode e chi lo ha sentito non lo scorda più.
«Jatevenne!»: è il 27 settembre del 1943 e Cenzina lo sente erompere dai polmoni prima di salire sulla barricate di Napoli insorta, prima città d’Europa. «Questa volta, no» – scrive Cenzina protagonista de La guerra non torna di notte di Vincenza Alfano (Solferino, pp. 202, euro 16.50 euro) nel diario dedicato nella finzione narrativa alla nipote in cerca di memorie che le restituiscano senso. «E soprattutto – prosegue Cenzina – a dire “no” furono le donne che non avevano mai avuto diritto di pensare, di parlare, di lavorare. Noi che non potevamo votare. Noi che non potevamo scegliere. Ci ribellammo soprattutto noi, perché la dittatura era stato il paradigma rivelatore della nostra condizione».

NEL LIBRO, Alfano racconta la parabola di una donna che progressivamente, tra il fascismo imperante e la sua nuova condizione di borghese salvata dalla fame – e che comporta un’amputazione di affetti che le incide la vita – giunge a quel «Jatevenne!» rivolto ai tedeschi che dall’otto settembre spadroneggiano in città. Il libro è una sorta di mosaico di momenti diversi della vicenda, bolle lievi che si infrangono e lasciano emergere frammenti di una vita passata ad obbedire alla madre che l’abbandona, allo zio che la accoglie, al marito che la fa ricca e la tradisce, a ciò che la società intera si aspetta da lei fino a quell’urlo maturato piano, giorno dopo giorno, nella fame, nell’amicizia con la portinaia orfana di un figlio militare perduto e poi straziata dal dolore muto per il marito ucciso dai nazisti sul portone di casa nella rabbia degli ultimi giorni di occupazione.
Un urlo cresciuto nelle surreali riunioni di condominio che la preparano alla rivolta, nell’accoglienza a militari ebrei polacchi – forzatura di una racconto per il resto coerente. Tra storia e memoir il romanzo racconta la cronaca di quei giorni rabbiosi e concitati con una scrittura che continua nel suo gioco di incastri tra il presente e il passato e la presenza miracolosa di santa Elena, santa donna per le donne.

Viene ordinato il coprifuoco, c’è lo stato di assedio e mentre il lavoro degli antifascisti prosegue nella clandestinità in città cresce l’insofferenza verso i saccheggi e le rappresaglie fino all’ordine di sgombrare per trecento metri la linea costiera con più di trentacinquemila famiglie costrette a sgomberare, compresa quella di Cenzina che vive – come molti altri – nei rifugi di una Napoli ridotta in macerie dai bombardamenti Alleati. Quel 27 settembre di esordio delle Quattro giornate di rivolta «la rabbia, la paura, lo sconcerto produssero finalmente la reazione: la ribellione infiammò gli animi, diede coraggio agli scoraggiati, spinse i pavidi a uscire dall’ombra. Ormai nessuno aveva più niente da perdere, perché tutti avevano già perso qualcuno».

«AVEVO LASCIATO la musica per essere moglie e poi madre – scrive la protagonista alla nipote – Avevo rispettato tutte le regole, convinta che ci fosse una ragione per la nostra obbedienza. Avevo creduto che le donne nascessero per assecondare il loro destino. Avevo fatto tacere ogni desiderio e ambizione». Vincenza Alfano, giornalista e docente di italiano e latino, intreccia nel libro la storia collettiva con la crescita personale di una donna sofferente, coraggiosa e incredula nello sforzo di doversi ricavare un posto autonomo in una città devastata.

NON È LA NAPOLI di Lenuccia Cerasuolo, di Gennaro Capozzo, o dei femminielli, quella di Cenzina è una storia che conduce ad un urlo: quello di una donna che poteva anche non starci e tenersi al riparo del suo dolore privato e dei privilegi rimastigli della sua condizione borghese ma che, grazie a quel «Jatevenne», riprende in mano la popria vita con una consapevolezza nuova e diversa: «Napoli era stata la prima città liberata dal nazifascismo. Essere napoletani ci rendeva orgogliosi, ma nessuno di noi si sentiva un eroe. Nessuno aveva mai provato a misurare il proprio coraggio. Eravamo spaventati, avviliti. La paura ci aveva esasperati». Eppure Cenzina e la portiera Addolorata, resa muta dal dolore, ritrovano entrambe le parole.
* Fitto il calendario delle prossime presentazioni: il 5 ottobre al Campania Libri Festival ore 12 con Guido Pocobelli Ragosta e il 6 ottobre alle 18 presso Mondadori a Pomigliano D’Arco con Leggimi Forte di Pasquale Avallone. Il 22 ottobre a InQuiete festival incontro con Viola Ardone, Rosella Postorino. Modera Lara Crinò.

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