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L’urgenza di trasformare i sistemi alimentari

L’urgenza di trasformare i sistemi alimentaril direttore generale della Fao Qu Dongyu al vertice di Roma – Ap

Vertice Fao Critiche ai giganti dell’agricoltura interessati solo ai profitti: «Priorità a interessi pubblici»

Pubblicato circa un anno faEdizione del 27 luglio 2023

Se ne dicono convinti tutti – governi, organizzazioni internazionali e l’ampia gamma di attori non statali: la trasformazione dei sistemi alimentari, dal campo alla tavola, è una condizione necessaria per avvicinarsi da un lato agli Obiettivi dello sviluppo sostenibile (Sdg) per il 2030 – cibo nutriente e sano accessibile a tutti, fame zero, lotta alla povertà soprattutto rurale ecc. – e dall’altro agli impegni climatici, oltre alla tutela della biodiversità, degli ecosistemi, dei suoli. Della salute.

«IL CAMMINO È LUNGO e dobbiamo accelerare», ha detto in conclusione il direttore generale della Fao Qu Dongyu nella sessione conclusiva del vertice Onu, «Sistemi alimentari+2», il seguito del vertice tenutosi a New York nel 2021. Duemila partecipanti da 180 paesi, 20 capi di Stato e 125 ministri; 101 governi hanno presentato rapporti volontari sui progressi intrapresi. Nella finale «chiamata all’azione» presentata a nome del segretario generale dell’Onu si sottolineano le seguenti necessità: finanza per lo sviluppo (da più parti se ne è sottolineata l’insufficienza e l’inefficienza, tanto più sulla nutrizione), alleggerimento del debito, accesso alla scienza, tecnologia, innovazione per tutti.
Le priorità delle strategie dei paesi, insieme a un’ampia gamma di partner, devono comprendere: investimenti nelle infrastrutture, economia circolare, commercio (per una migliore nutrizione). E poi: giovani e donne al centro, accesso all’innovazione tecnica e tecnologica per produrre di più con meno, importanza dei dati geospaziali, della digitalizzazione, dell’agricoltura di precisione, cooperazione internazionale e Sud-Sud.

E tuttavia, questa trasformazione, verso dove? Se lo chiede fin dal titolo l’ultimo rapporto della ong Fian International. E a denunciare la mainmise del settore privato sul vertice è una coalizione di movimenti per la giustizia alimentare e di organizzazioni di piccoli produttori e di popoli indigeni, riuniti nella People’s Autonomous Response to the UN Food Systems Summit e parte anche del Meccanismo della società civile e dei popoli indigeni (Csipm) nato nel 2010 e che partecipa ai lavori del Comitato per la sicurezza alimentare, un meccanismo inclusivo creato all’interno della Fao.
Scrivono questi gruppi: «I giganti dell’agricoltura, del cibo e dei dati non si preoccupano di una governance democratica ma solo del loro profitto (…). Chiediamo un cambiamento urgente rispetto ai modelli industriali guidati dal settore privato, verso sistemi alimentari che diano priorità all’interesse pubblico»; e «l’accesso delle popolazioni a terra, acqua e semi».

La contestazione era già risultata evidente al vertice di due anni fa, che avrebbe rivelato la crescente influenza delle multinazionali sull’Onu e ignorato le cause strutturali delle crisi e le strategie concrete che da decenni vengono portate avanti in tutto il mondo, senza ottenere adeguato sostegno. «In questi tempi di fame crescente e molteplici crisi, è più urgente che mai che i governi e le Nazioni Unite ci ascoltino» (La Vía Campesina).
Termini come agroecologia, biodiversità, sovranità, sistemi indigeni da valorizzare, sono stati più volte evocati anche durante il vertice appena concluso. Ma quanto sono compatibili con l’agribusiness? Secondo Fian, «i sistemi alimentari delle multinazionali non dovrebbero avere l’approvazione dell’Onu».

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