L’uranio impoverito uccide ancora
Balcani 366 i militari italiani morti. Allarme tumori in Serbia colpita dalle bombe Nato nel 1999: sono 7.500 i nostri soldati che si sono ammalati dopo le missioni in Bosnia (1995) e in Kosovo (1999), ma è silenzio sui civili contaminati nelle zone bombardate
Balcani 366 i militari italiani morti. Allarme tumori in Serbia colpita dalle bombe Nato nel 1999: sono 7.500 i nostri soldati che si sono ammalati dopo le missioni in Bosnia (1995) e in Kosovo (1999), ma è silenzio sui civili contaminati nelle zone bombardate
«A soli due giorni dalla morte di Daniele Nuzzi un altro militare ci lascia…». È Domenico Leggiero dell’Osservatorio Militare ad annunciarlo sulla pagina Facebook «Vittime dell’uranio impoverito» il 18 aprile scorso. È la 366esima vittima per uranio impoverito tra i militari italiani, la cosiddetta «Sindrome dei Balcani».
Il caso era scoppiato nel 2001 con l’emergere dei primi casi di militari italiani ammalatisi o deceduti al rientro dalle missioni in Bosnia Erzegovina e Kosovo. Paesi che, assieme alla Serbia, erano stati bombardati dalla Nato – nel 1995 la Bosnia, nel 1999 gli altri due – con proiettili al DU (Depleted Uranium).
L’URANIO impoverito deriva da materiale di scarto delle centrali nucleari, Viene usato per fini bellici per il suo alto peso specifico e la sua capacità di perforazione. Quando un proiettile al DU esplode ad altissima temperatura rilascia nell’ambiente nanoparticelle di metalli pesanti. Ad oggi la ricerca scientifica conferma che questi proiettili sono pericolosi sia per la radioattività emanata sia per la polvere tossica rilasciata nell’ambiente.
Daniele Nuzzi, deceduto il 15 aprile a 48 anni, aveva prestato servizio in diverse missioni in territori bombardati con il DU e al rientro in Italia si era ammalato. Come dichiarato dall’Osservatorio Militare nel giorno del suo decesso, «gli era stato negato dall’amministrazione militare il riconoscimento di vittime del dovere, ottenuto solo dopo qualche anno”.
Dal 2001 è una vera battaglia: tra chi nega l’esistenza di una correlazione tra esposizione al DU e malattia, e chi sostiene il contrario con numeri di morti e malati alla mano e sentenze di condanna a carico del ministero della Difesa. Lo ha ricordato il giornalista Paolo Di Giannantonio lo scorso 4 aprile, nella conferenza presso la Camera dei Deputati organizzata dall’Osservatorio Militare.
Dopo aver fornito i numeri del prezzo pagato dai militari italiani impegnati in missioni di pace – ad oggi 7.500 malati e 366 decessi – ha aggiunto che il mancato riconoscimento da parte dello stato italiano dello stato di malattia, o decesso, ha portato molti militari a rivolgersi alle aule dei tribunali. «Sono state emesse 119 sentenze di condanna a carico della Difesa, tutte seguite dall’avvocato Tartaglia, e sono 352 le pendenze in corso di giudizio».
Tutto ciò nonostante l’istituzione nel 2000 della Commissione Mandelli e – tra il 2005 e il 2018 – di quattro Commissioni parlamentari d’inchiesta, sulle complesse questioni che concernono l’utilizzo del DU nelle missioni all’estero come nei poligoni e nelle installazioni militari in Italia. Nella relazione finale dell’ultima Commissione, del 15 febbraio 2018, oltre a proporre un disegno di legge relativa alla tutela dei militari si è ribadito il «nesso di causalità tra l’accertata esposizione all’uranio impoverito e le patologie denunciate dai militari» attraverso, come ha ricordato il 4 aprile a Roma Gianluca Rizzo, presidente della Commissione Difesa della Camera e membro della Commissione, «sette missioni, 50 audizioni libere, oltre 50 esami testimoniali, 33 collaborazioni esterne e 109 sedute».
LA NOVITÀ, rispetto al passato, è che la relazione è stata consegnata a marzo 2018 da Gian Piero Scanu, presidente dell’ultima Commissione, a Darko Laketic, presidente della neonata Commissione di indagine sulle conseguenze del bombardamento Nato del 1999 sui cittadini della Serbia. La messa a conoscenza delle indagini parlamentari italiane ha spinto poi la Serbia a istituire una commissione.
Secondo le dichiarazioni di Laketic alla Rtv (le televisione pubblica serba) lo scorso 19 marzo, la commissione ha già realizzato un’indagine medico-scientifica con la collaborazione dell’Istituto “Milan Jovanovic Batut” di Belgrado, centrata sui soggetti nati dopo il 1999 in Serbia centrale: «Dai primi risultati, emerge che nella fascia d’età 5-9 anni si ha una maggiore e significativa percentuale di malati rispetto ad altre fasce di età, oltre a una maggiore disposizione a contrarre nel tempo malattie tumorali maligne del sangue».
Ha inoltre aggiunto: «Sappiamo inoltre che sull’insorgere delle neoplasia ha influito un fattore tossico, ma non sappiamo quale dei tanti (…). Nel dibattito pubblico è dominante l’uranio impoverito, ma devo ricordare che il DU rappresenta solo la punta dell’iceberg. A causa del bombardamento sono state rilasciate nell’ambiente molte e diverse sostanze cancerogene». Laketic si riferisce alle bombe sganciate sulla Serbia tra il 24 marzo e il 10 giugno del 1999 che hanno colpito fabbriche, industrie chimiche e depositi di materiale infiammabile.
Dai dati Nato risultano essere 112 i siti colpiti con DU, di cui 1 in Montenegro, 10 in Serbia e 85 in Kosovo. Tra questi, le città di Pancevo e Kragujevac che la Task Force costituita dall’Unep per indagare sulle conseguenze dei bombardamenti, definì «hot spot». Pancevo, il cui distretto industriale comprende anche un petrolchimico e una raffineria, è stata bombardata a partire dal 24 marzo, Kragujevac è stata colpita tra il 9 e il 12 aprile; in entrambi, hanno provocato la diffusione di diversi agenti tossici e la combustione di agenti chimici. Non solo. La fabbrica automobilistica “Zastava” di Kragujevac – colpita, come si seppe poi, anche con proiettili al DU – è stata subito ripulita da decine di operai della fabbrica per ripartire prima possibile con la produzione.
SECONDO le dichiarazioni degli stessi operai, durante la bonifica hanno cominciato a contrarre neoplasie maligne e molti sono poi deceduti. Il caso è stato persino affrontato nel 2007 dalla seconda Commissione di indagine italiana: a partire da informazioni recepiti da Pietro Comba, dell’Istituto Superiore di Sanità, era stato proposto di avviare un’indagine sui circa 1500 operai della Zastava definiti «casi a rischio» e di cui vi era traccia completa dei anagrafici e medici.
Non se ne fece nulla, né da parte italiana, né da parte serba. Solo il 17 aprile scorso la commissione di Laketic ha scelto Kragujevac come sede della sesta seduta, dove ha incontrato anche una rappresentanza degli operai coinvolti nella bonifica e dai quali si è fatta consegnare la documentazione medica.
DARKO LAKETIC, ha concluso il suo intervento del 4 aprile alla Camera riportando alcuni dati: «In Serbia abbiamo un grande problema sanitario: assistiamo ad un significativo aumento dell’incidenza delle malattie maligne soprattutto nei giovani, mentre nei paesi dell’Unione europea è invece in calo. Siamo certi che dipende dall’esposizione a sostanze tossiche. Abbiamo avviato la raccolta di dati nelle zone bombardate e alcuni casi mi hanno colpito molto, come il gruppo di 40 persone che ha bonificato la montagna Pljackovica (sudest della Serbia) dove c’era un ripetitore radiotelevisivo: dopo la bonifica tutti avevano presentato lesioni cutanee, 25 sono poi morti di tumori maligni».
Nel frattempo, in Italia prosegue la battaglia legale. Lo scorso 4 ottobre la Cassazione ha emesso un’importante sentenza: oltre a ribadire il nesso causale tra Uranio impoverito (DU) e malattia, ha dichiarato la Difesa colpevole di aver ignorato i pericoli ai quali aveva esposto i militari in teatri operativi in cui era stato usato munizionamento al DU e quindi legittimo il risarcimento richiesto dai familiari di Salvatore Vacca, morto di leucemia nel 1999 dopo la missione in Bosnia.
LE DOMANDE aperte sono ancora molte. Perché lo stato italiano, nonostante l’evidenza di prove, non fa sì che i militari che ne hanno diritto ricevano i dovuti riconoscimenti di legge, senza obbligarli a passare per le aule dei tribunali? Perché dopo le indagini promesse, male avviate e poi sospese, dedicate ai civili italiani di Ong e associazioni che hanno operato in quei territori, non sono proseguite? Perché la Serbia si muove solo oggi, dopo che per anni i cittadini hanno chiesto (invano) che si avviassero indagini ad hoc?
Come mai in Bosnia Erzegovina, a seguito di indagine governativa nel 2004, i cui risultati non sono stati poi resi pubblici, vige il silenzio? Perché non si parla dei civili in Kosovo, bombardato con 25mila dei 31mila proiettili usati nel 1999? Ed infine: viste le conferme scientifiche delle devastanti conseguenze su popolazioni e ambiente, perché non viene bandito l’uso di questi proiettili? Uno scandalo, vergognosamente attuale.
*OBC Transeuropa
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