C’è un supereroe in bianco e nero, poco conosciuto e assai dimenticato, nato in terra d’Abruzzi, nel covo dei ferrovieri anarchici e socialisti, un’impronta indelebile della sua vita. Uomo d’inizio novecento, alto, bello, elegante, giovane avvocato e grande sindacalista ritorna a noi nell’appassionante documentario L’uomo più buono del mondo. La leggenda di Carlo Tresca, di Angelo Figorilli e Francesco Paolucci (presentato nei giorni scorsi all’Associazione della Stampa Romana dopo alcune anteprime a New York e Sulmona) dedicato a un grande personaggio di Sulmona, la cittadina che gli diede i natali e ospita un centro studi a lui intitolato, anche se gran parte della sua carriera si è svolta dall’altra parte dell’Atlantico, negli States.

ERA DOVUTO FUGGIRE in America nel 1904 per evitare una ingiusta condanna alla prigione per attività sovversiva. Tutta la sua vita sarà battagliando e inseguendo un ideale socialista, rivoluzionario, anarchico; una figura d’indomabile lottatore, scomoda per tutti, simbolo dei lavoratori sfruttati, conosciuto, amato e odiato. Una vita sulle barricate scioperando con i minatori di carbone della Pennsylvania e i lavoratori della seta del New Jersey, picchiato, sparato, rapito e arrestato 36 volte. Per quasi quarant’anni l’Fbi lo considera tra i più pericolosi leader sindacali.
Questo lavoro audiovisivo generoso e fantasioso (il fumettista Erick Cuevas Ulloa con animazione visionaria, costruisce i raccordi disegnati magnificamente tra le varie vicende raccontate con interviste, foto, articoli di giornali, zigzagando tra le ciminiere delle fabbriche, gli slum degli immigrati e i treni della speranza) rilancia per le giovani generazioni il ritratto di un ribelle anticapitalista, un convinto libertario, antimilitarista che ha combattuto «contro tutti i dispotismi». Carlo Tresca è un immigrato italiano che guida scioperi che durano mesi, pubblica giornali che denunciano padroni e mafiosi, si batte per la difesa di Sacco e Vanzetti, vince e perde decine di processi per la libertà delle sue idee e dei lavoratori di ogni paese immigrati in America fino a portarli sul palco del Madison Square Garden a rappresentare la loro protesta di operai tessili.

Gli autori montano un dialogo a distanza tra la scrittore Maurizio Maggiani (che ha dedicato a Tresca pagine bellissime nel suo romanzo L’eterna gioventù) e alcuni concittadini sulmonesi che per anni si sono occupati di ricostruire la sua vita e il suo attivismo, di organizzare il ricordo di quello che è definito «un ribelle internazionalista», un Don Chisciotte del secolo scorso, «un eroe che, come tutti gli eroi, conobbe una tragica fine».

DALL’ANZIANA studiosa Concetta Falcone Salvini, che ha pubblicato un libro – aggiornato e migliorato per anni – su «Il Martello», lo storico giornale pubblicato e diretto da Tresca fino al 1943, megafono della sua attività propagandistica, passando per il pacifista Mario Pizzola obiettore di coscienza che ancora oggi custodisce in casa un calco in gesso del volto dell’anarchico, o Giuseppe Evangelista, già docente e preside del liceo Ovidio dove Tresca capì di essere «un tipo ribelle, indocile ad ogni disciplina», fino alla bibliotecaria Italia Gualtieri e l’insegnante Edoardo Puglielli, animatori del centro studi Carlo Tresca.

A ottanta anni dalla sua drammatica scomparsa, avvenuta sulla Quinta Strada di New York, un colpo di pistola alla schiena lo uccide una sera d’inverno, l’11 gennaio 1943. Probabilmente un sicario della mafia italoamericana che fermò la sua vita e il tentativo di tornare in Italia per partecipare alla liberazione del paese. «Al suo funerale a New York – ricordano gli autori – ci furono ben ottanta automobili cariche di fiori a precedere un corteo di migliaia di persone. Operai, tessitrici, intellettuali, artisti, scrittori che piangevano quello che fu definito “l’uomo più buono del mondo”». Poi su di lui, per anni, scende il silenzio. Però il giornalista televisivo Figorilli ricorda di aver sentito parlare di quel nobile cittadino del mondo che aveva combattuto per i diritti di tutti, «per la prima volta da bambino nei racconti di uno zio comunista e ferroviere». Quel germe è ancora attuale.