Visioni

L’universo combinato di Anthony Braxton

L’universo combinato di Anthony BraxtonAnthony Braxton

Musica Il Zim Sextet del grande compositore/polistrumentista chicagoano regala ad un centinaio di appassionati un’ora di musica intensa, tra scrittura e improvvisazione

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 31 maggio 2018

Fuori della sala Petrassi un foltissimo pubblico ha assediato lo scorso fine settimana la Cavea per l’atteso concerto degli Arctic Monkeys, apertura del Roma Summer Fest all’auditorium capitolino Parco della Musica. Dentro la sala – dedicata al compositore contemporaneo romano – il Zim Sextet di Anthony Braxton ha regalato ad un centinaio di appassionati (ore 18) un’ora di musica intensa, tra scrittura e improvvisazione, alea e “conduction”. Una musica, quella braxtoniana, che interpreta il presente più di quanto si  immagini, nel coerente sviluppo di un pensiero filosofico-sonoro di lungo percorso come quello del compositore/polistrumentista chicagoano, oggi settantatreenne.

<>. E’ esattamente ciò che accade nel Zim Sextet, formazione di lungo corso di fatto codiretta con l’eccellente trombettista/polistrumentista Taylor Ho Bynum (45enne, all’interno della braxtoniana Tri-Centric Foundation e della maggior parte dei suoi progetti sonori) con Jacqueline Kerrod e Miriam Overlack (arpe), Adam Matlock (fisarmonica, flauto dolce, voce) e Dan Peck (tuba). Tre sezioni disposte a semicerchio (ance, arpa, fisarmonica, tuba, arpa, ottoni) per un unico brano in perenne trasmutazione. L’universo musicale di Braxton prevede, infatti, una dominante idea combinatoria, continue variazioni di timbrica ed organico, tessitura di numerose composizioni che Tarting chiama con efficacia <<”dinamizzazione” di una composizione prima con composizioni “additive”>>, procedure generative.

Inutile attendere un secondo brano: tutto fluisce nel disteso o frenetico alternarsi di parti scritte, frasi chiamate, segni gestuali, continuo cambio di dinamiche e di strumenti anche per brevi passaggi. Braxton ha suonato, con classe appena incrinata, sopranino, soprano, alto e baritono mentre Ho Bynum ha sfoggiato una quantità di ottoni e sordine impressionante. Si diceva una musica generativa, fitta di espansioni ma non si tratta di un gioco narcisistico di scrittura quanto di un sistema filosofico-sonoro che nell’enorme articolazione ha una sua compiutezza e forza, tra la logica e la passione. Per citare ancora il grande critico francese, i musicisti <>. Così, una volta entrati nella musica braxtoniana, si vorrebbe che non finisse più. Il recital è, però, programmaticamente breve e non bastano gli applausi per un bis che sarebbe fuori luogo.

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