Editoriale

L’Unione fa il delitto

Accordo Ue-Turchia Su catamarani e mezzi di fortuna, ma sotto la solerte vigilanza di funzionari Frontex, è iniziata la deportazione di migranti e profughi da Lesbo e altri porti greci in Turchia. […]

Pubblicato più di 8 anni faEdizione del 5 aprile 2016

Su catamarani e mezzi di fortuna, ma sotto la solerte vigilanza di funzionari Frontex, è iniziata la deportazione di migranti e profughi da Lesbo e altri porti greci in Turchia. Verso dove? Nessuno lo sa. Amnesty International ha accusato il governo turco di espellere centinaia di siriani in Siria, in un paese in cui la guerra c’è, benché se ne parli sempre meno. Intervistata sulla questione, una funzionaria Ue ha risposto: «È da escludere. L’accordo Ue-Turchia non lo prevede. È scritto nero su bianco».

Ecco una risposta che meriterebbe una citazione in un’enciclopedia universale dell’insensatezza. La Ue fa un patto miserevole con Erdogan: 6 miliardi di Euro in cambio del ritorno in Turchia di migliaia di migranti e profughi. Si noti: con lo stesso Erdogan che mezzo mondo, compresa l’Europa (quando le fa comodo), accusa di imprigionare i dissidenti e imbavagliare la stampa. Dunque, un paese in cui nessun controllo si può esercitare su un governo semi-dittatoriale. E ora arriva una tizia, finita chissà perché a dirigere qualcosa in Europa, a dirci che la Turchia non deporta nessuno perché nell’accordo con la Ue non c’è scritto nulla al riguardo!
Ma questo è nulla. Interrogato sulla questione, un giurista ha affermato tempo fa che non si può parlare di deportazioni perché «il termine implica un atto criminale e utilizzarlo significa quindi ammettere che l’accordo tra Unione Europea e Turchia preveda un crimine». Assolutamente geniale. Questo esempio di logica deduttiva ricorda una dichiarazione del penultimo presidente della Repubblica, secondo il quale, mentre i nostri aerei bombardavano la Libia, l’Italia non era in guerra perché non aveva dichiarato guerra a nessuno. Ma il citato giurista va oltre. Alla domanda se la Turchia sia uno stato sicuro, risponde di sì. E come si fa a stabilire se uno stato è sicuro? «È tale uno stato che accoglie i migranti in autonomia». Il nome La Palisse vi dice qualcosa?
Ma non c’è proprio da ridere. Dietro questo formalismo alla Gogol c’è un cinismo terrificante – l’uso delle parole ingessate del diritto per giustificare il rinvio ai mittenti, cioè la guerra, la fame e la morte, di decine di migliaia di esseri umani. Era già successo ai tempi degli accordi che Amato e Pisanu stringevano con quei campioni del diritto di Gheddafi e Ben Ali. Tutti sapevano che i migranti, espulsi in cambio di un po’ di dollari ai governi, finivano nel deserto, vittime di inedia, militari e predoni. Ma poiché nessuno lo diceva, ecco che non era successo nulla.
L’accordo Ue-Erdogan si muove sulla stessa falsariga. Che fine faranno siriani, afghani, pakistani prelevati dalla Turchia? Nessuno lo saprà mai con certezza. Magari Amnesty International verrà a conoscenza di qualcosa e denuncerà i fatti. Ma, poiché l’accordo siglato dalla Ue non prevede nulla del genere, otterremo le solite risposte nel vacuo burocratese citato sopra. D’altra parte, in un’area in cui sarebbero morte cinquecentomila persone in cinque anni, che volete che significhi la sorte di poche migliaia di migranti?
Tempo fa, la signora Frauke Petry, figlia di un pastore protestante e leader del partito xenofobo Alternative für Deutschland, ha dichiarato che bisognerebbe sparare ai migranti che attraversano illegalmente le frontiere. Eccola accontentata. E senza rumore di spari, sangue e inchieste. Ci pensa il nostro alleato Erdogan. Con ciò le mani d’Europa restano immacolate. Come quelle di chi commissiona un delitto a qualcuno e poi se ne va serenamente a cena.

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