«L’unica strada è produrre meno e consumare meno»
Rifiuti Nel 2050 la quantità di plastica negli oceani potrebbe aver superato quella del pesce
Rifiuti Nel 2050 la quantità di plastica negli oceani potrebbe aver superato quella del pesce
Secondo la Ellen McArthur Foundation nel 2050 la quantità di plastica negli oceani avrà superato quella del pesce. Non è quindi un mistero che, anche sul fronte del packaging, le associazioni ambientaliste spingano non solo verso l’innovazione di prodotto e il miglioramento delle tecniche di riciclo, ma anche per una rimodulazione dei consumi. Il report 2019 sul packaging di Greenpeace sottolinea che nessuna tra le grandi multinazionali come «Nestlé, Coca-Cola, PepsiCo, Unilever e Danone ha un piano di riduzione del packaging plastico monouso, e lo stop all’importazione dei rifiuti da parte della Cina non ha fatto altro che muovere il traffico verso altre nazioni del sud est asiatico».
Secondo le indagini fatte sui millennials americani, l’inquinamento da plastica viene percepito come la prima minaccia ambientale, al pari con l’inquinamento da idrocarburi.
Greenpeace pone l’accento in particolare sull’incidenza delle confezioni mono-uso, che sono particolarmente diffuse nei mercati più poveri; l’associazione ambientalista chiede alle multinazionali di ripensare il loro approccio al packaging, e ai consumatori di orientarsi su acquisti con un approccio votato al riuso e alla ricarica. Lo studio di Greenpeace sembra essere piuttosto scettico sull’effettiva portata di una misura come l’etichettatura ambientale, che rischia di illudere il consumatore. «Spostare i rifiuti dall’altra parte del pianeta sperando che una minima parte di essi venga riciclati è una scelta perdente», mentre la chiusura delle Cina ha portato «a bruciare una quantità di plastica sei volte superiore».
Per l’associazione nemmeno l’uso di bioplastiche può considerarsi una risposta corretta. «Spesso sono mescolate con plastiche non riciclate e se rilasciate nell’ambiente, anche le bioplastiche necessitano di condizioni particolari per degradarsi».
Questo non vuol dire che Greenpeace spinga necessariamente per materiali alternativi come la carta: «Senza obiettivi di riduzione delle quantità prodotte e linee guide chiare sull’approvvigionamento, il rischio di avere costi ambientali elevati nella fase di produzione cresce parecchio». Se per produrre carta dobbiamo consumare terreno e acqua in grandi quantità, i danni rischiano di essere superiori ai benefici. Per questo motivo le associazioni ambientaliste tendono a porre l’accento costantemente sulla diminuzione generale della quantità di imballaggi prodotti e sulla riduzione dei consumi, l’unica via per produrre davvero meno rifiuti e danno all’ambiente.
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