Lungo le vie infernali del cuntista esemplare
A teatro I pupi di Mimmo Cuticchio nelle immagini di Daniele Ciprì per dare corpo e voce alla Commedia
A teatro I pupi di Mimmo Cuticchio nelle immagini di Daniele Ciprì per dare corpo e voce alla Commedia
Fra i tanti progetti generati dalla ricorrenza dei settecento anni della morte di Dante Alighieri, il meno effimero è forse questo composito Sulle vie dell’Inferno ideato e diretto da Mimmo Cuticchio, per una sola sera all’Auditorium romano dopo il debutto a fine ottobre scorso a Palermo, al Real teatro Santa Cecilia. Fin dagli esordi, Cuticchio si è posto il compito di far rivivere il «mestiere» (termine che nel gergo vuol dire l’insieme dei pupi, fondali, cartelloni, macchine sceniche e tutto quanto per un paio di secoli è servito a inscenare il racconto della storia dei paladini di Francia ma che ne denuncia anche il carattere orgogliosamente artigianale) farlo rivivere, si diceva, dentro nuove forme, senza temere la contaminazione dei linguaggi, dalle forme popolari come il melodramma all’ardito confronto con la danza di Virgilio Sieni (il loro Nudità sarà a maggio al Piccolo teatro di Milano).
ECCOLO dunque con in mano la spada che è il simbolo del cuntista, al centro del nudo palcoscenico, a raccontare la storia di un personaggio minore dell’Opera dei pupi, di quelli che comparivano solo in due o tre episodi della lunga saga, quando ancora l’intero ciclo si prolungava per centinaia di giornate. Si chiama Ariodante e l’Ariosto ne fa il protagonista della vicenda cupa e fiabesca di Ginevra principessa di Scozia, vittima di una trama passionale da cui la salva l’eroe. Immagina anzi il narratore che Ariosto abbia voluto mescolare il suo nome a quello di Dante. E mentre l’affabulazione scivola nel ritmo sincopato del cunto, sembra di tornare indietro di millenni, quando ancora i poemi omerici venivano trasmessi oralmente dagli aedi. Mentre lo si ascolta, torna in mente quel che Mimmo Cuticchio ha scritto del padre Giacomo, oprante dalla voce tonante che sembrava quella di un tenore, nel volume in cui racconta «la nuova vita di un mestiere antico»: del resto lui quell’eredità di «figli d’arte» l’ha sempre rivendicata, dopo la ribellione giovanile che l’aveva spinto a eleggere un nuovo maestro, il cuntista Peppino Celano e poi a dar vita a una propria compagnia. E sono ormai cinquant’anni. Ora il nome di battesimo del nonno l’ha ereditato suo figlio, che da un lato della scena guida l’ensemble musicale che accompagna l’azione.
ARIODANTE compare nelle immagini filmiche di Daniele Ciprì che ci portano all’interno del teatrino di via Bara all’Olivella, a un passo dal teatro Massimo, per passare da lì alla grande scena dello schermo cinematografico. Ha indossato i panni di Dante e insieme a un Virgilio dalle fattezze di moro si inoltra per la selva oscura cresciuta all’interno del boccascena, che si apre alla vista della passeggiata di Goethe sul Monte Pellegrino da cui si guarda a quella «città dolente» che è ora Palermo. L’artefice si è fatto da parte ma il suo commento resta centrale nella drammaturgia curata insieme a Elisa Puleo e all’attore Alfonso Veneroso che in scena legge i versi della prima cantica della Commedia. Da lì parte un «grand tour» all’interno e lungo le coste dell’isola, per incontrare Caronte fra Scilla e Cariddi e affacciarsi alla necropoli di Pantalica, dove stanno gli spiriti magni dei poeti dell’antichità.
E POI giù nel cerchio dei lussuriosi dove Paolo e Francesca si scambiano un lungo bacio mentre già avanza il braccio armato che li ucciderà. Ecco il supplizio degli avari costretti a spingere pesanti macigni sotto gli occhi di quattro carusi venduti per lavorare come schiavi nella miniera di zolfo di Sommatino. Gli iracondi alle terme di Segesta, i diavoli che popolano la città di Dite, l’eretico Farinata nella cava di Ispica, i violenti contro il prossimo e contro se stessi fatti sterpi come Pier delle Vigne, il cui volto emerge da un tronco mozzo; per arrivare al folle volo di Ulisse davanti al mare di Linosa e al fiero pasto del conte Ugolino.
Il gran finale rosseggiante porta Dante a fronteggiare un Lucifero dalle grandi ali di pipistrello, l’imperatore del doloroso regno che l’accompagna all’uscita o meglio al ritorno nello spazio consueto. Ariodante ha trovato il suo posto in mezzo agli altri pupi e può ora uscire a prendere gli applausi insieme agli artefici di questo meraviglioso spettacolo.
ABBONAMENTI
Passa dalla parte del torto.
Sostieni l’informazione libera e senza padroni.
Leggi senza limiti il manifesto su sito e app in anteprima dalla mezzanotte. E tutti i servizi della membership sono inclusi.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento