Lungo le strade storiche, un viaggio monumentale
Il libro «Strade storiche» di Oreste Rutigliano, da Baldini+Castoldi
Il libro «Strade storiche» di Oreste Rutigliano, da Baldini+Castoldi
Fine estate, una decappottabile buca i filari di pino marittimo che incorniciano un tracciato rettilineo; il verso monocorde delle cicale, che stordisce il viaggiatore, è smorzato per un attimo dal refolo di un’auto che passa in senso contrario; all’odorosa macchia mediterranea circostante fa da sfondo il luccichio della striscia cobalto del mare. Il viaggio attraverso il paesaggio, lungo una strada qualsiasi, stretta, a tratti tortuosa e faticosa, estranea al traffico del nostro tempo, sopravvissuta. Così da essere definita storica e dunque bisognosa di restauro, al pari di un’auto d’epoca. Se c’è un’estetica delle strade, nella rete infrastrutturale del paese, quelle storiche sono le prime a farne parte. A esse è stato intitolato un saggio che le equipara a costruzioni di valenza architettonica integrate perfettamente nel paesaggio: Strade storiche Monumenti da salvare (Baldini-Castoldi) di Oreste Rutigliano, già presidente nazionale di Italia Nostra.
Fino agli anni ’60 le strade non producevano alcun effetto impattante sul paesaggio anzi, costruite con i materiali prelevati laddove si tracciavano fra campagna, pinete, boschi, erano esse stesse paesaggio. La realizzazione di una strada non si risolveva soltanto in una rotabile costituita da terreno pavimentato o asfaltato, ma anche nella dotazione di un arredo stradale che la caratterizzava per sicurezza e per aspetto formale. Strade lente, intervallate da caselli ferroviari e passaggi a livello, punteggiate da case cantoniere tinte di rosso pompeiano e da paracarri di pietra bianchi e neri, da monolitiche lastre miliari, protette ove necessario da parapetti a muretto o a ringhiera di ferro, abbellite da filari di platani, di pioppi, di tigli, di eucalipti. Strade ideate e realizzate prima dell’avvento della civiltà industriale, che questa ha poi spazzato via in nome della velocità. Superstrade, autostrade, viadotti dimezzano percorsi, riducono distanze fra regioni e città cancellando definitivamente l’impianto antico delle carrozzabili e con esse le tipicità del paesaggio italiano. I regolamenti del codice della strada hanno imposto rettifiche ai tracciati per renderli omogenei e se sempre più rapidi assecondando le esigenze delle merci che vi transitano. L’inserimento ambientale di visuali, scorci, panorami, elementi imprescindibili della vetusta progettazione stradale, è stato offuscato in maniera irreparabile dalla (come dice l’autore) «malaurbanistica» che ha consentito il proliferare dell’edilizia lineare (capannoni prefabbricati per l’industria e il commercio) a ridosso degli assi di grande comunicazione, delle uniformi conurbazioni balneari (alberghi, centri di ristoro, stabilimenti, discoteche) che soffocano le strade litoranee non lasciando intravedere neppure l’acqua del mare. La richiesta del «diritto al paesaggio» del cittadino-viaggiatore è ritenuta una pretesa ridicola, un nonsense, fuori dalla logica dello sviluppo economico funzionale al profitto della grossa imprenditoria che padroneggia sui bordi delle strade. La strada è l’opera pubblica per eccellenza e ciononostante non è stata mai così maltenuta dagli enti territoriali preposti, abbruttita dall’utenza e perfino privatizzata, come nell’ultimo cinquantennio.
Le consolari romane che si irradiavano dall’Urbe hanno rappresentato gli assi fondanti nel disegno della rete stradale italiana, ma adeguamenti e allargamenti in osservanza del codice le hanno in gran parte stravolte sì che degli originari itinerari restano intatti sporadici tratti. La Cassia, legata alla memoria sportiva della Mille Miglia (la massacrante corsa su strade ordinarie cui partecipavano piloti professionisti e dilettanti) e per secoli al percorso dei pellegrini della Francigena, è stata trasformata in una strada veloce denominata Supercassia. La Salaria, antico tracciato del sale che collegava col Piceno, giace in uno scadente stato di transitabilità. L’Aurelia, protagonista assoluta nel film Il sorpasso (1962) di Dino Risi, è irriconoscibile già uscendo da Roma; tratti residui dell’Aurelia originaria sono ancora percorribili fra Grosseto e Livorno. L’Appia corrisponde con la vecchia consolare solo nei pressi di Terracina e del canale di bonifica delle paludi pontine; tuttavia con la candidatura all’Unesco come sito patrimonio dell’umanità del primo ottobre scorso, da parte del ministero della cultura, è in calendario la valorizzazione della regina viarum. La Tiburtina, la strada della fuga del re Vittorio e del suo codazzo a Pescara, conserva un percorso intatto a partire da Tivoli e in prossimità della città dell’Aquila. La consolare Flaminia, che arriva a Fano, mantiene un tracciato quantomeno leggibile.
All’indomani dell’unità d’Italia furono stabilite le norme su competenza, costruzione e manutenzione delle strade rotabili, divise in quattro categorie: nazionali, provinciali, comunali e vicinali. Con la nascita dell’industria automobilistica, agli inizi del ’900, le nazionali sommavano a circa 25.000 chilometri con sezione stradale variabile fra cinque e sette metri. Erano costruite con un impasto di catrame-bitume-asfalto e la loro manutenzione competeva a dipendenti dello Stato che abitavano case cantoniere distanziate cinque chilometri lungo le strade. Negli anni ’20 si attua una riclassificazione delle statali, che vengono numerate da 1 a 137. Spetta all’Anas (Azienda autonoma strade statali) occuparsene della gestione. Negli anni ’50 lo sviluppo stradale, in totale, ammontava a 190.000 chilometri.
Accurata e utile la rassegna di strade statali storiche, sufficientemente fruibili dagli automobilisti, per le quali è urgente attivarsi per salvaguardarle dall’incuria. Se ne ricordano alcune: il percorso fra il Vallo di Lucania (SA) e il Golfo di Policastro della statale 18 Tirrena inferiore, ex strada regia delle Calabrie; l’ex statale 173 delle Terme salentine nel parco naturalistico Otranto–Santa Maria di Leuca inserita fra le dieci strade più belle d’Italia, in particolare la litoranea panoramica fino a Santa Cesarea che ricalca il disegno costiero a cento metri sul livello del mare; la statale 65 della Futa e della Raticosa che attraversa l’appennino da Firenze a Bologna; la Ortana fra Todi e Orvieto, con curve e vedute costeggiando il Tevere; il tratto della statale 17, dell’appennino abruzzese–appulo sannitico, che congiunge L’Aquila a Foggia. Un lungo racconto insomma, di storia e di cronaca, per tramandare un insolito rapporto di bellezza fra paesaggio e strada.
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