Sulle rotte impreviste del mare
Interviste Rossella Biscotti racconta il suo progetto «The Journey», che presenterà il prossimo sabato 24 al festival Between Land and Sea di Palermo, insieme al sound artist Attila Faravelli. Con lui ha registrato i rumori e mappato le complesse ecologie mediterranee
Interviste Rossella Biscotti racconta il suo progetto «The Journey», che presenterà il prossimo sabato 24 al festival Between Land and Sea di Palermo, insieme al sound artist Attila Faravelli. Con lui ha registrato i rumori e mappato le complesse ecologie mediterranee
I pescatori artigianali raccontati nell’installazione di Francesco Bellina (con l’ausilio dei filmati realizzati da Stefano Liberti) in una consonanza geografica e politica di Sicilia, Tunisia e Ghana, sono lavoratori del mare che le attività industriali e la crisi climatica spingono ai margini della società, votandoli alla sparizione. Ci sono poi le lotte dei contadini e dei braccianti narrate da Genny Petrotta, a partire dal suo paese natale, Piana degli Albanesi, dopo la Seconda guerra mondiale. Mentre, in lontananza, luccica il mare negato, che riaffiora nella ricerca di Irene Coppola che investe la Costa sud di Palermo nel tentativo di recuperare la memoria di una spiaggia violata e cancellata dalla vita comunitaria. Al centro, si staglia il Mediterraneo, luogo di speranze oppure tomba atroce che delimita l’infrangersi dei sogni. Nei naufragi antichi e in quelli contemporanei.
Dopo le ultime edizioni di Tunisi e di Brema, torna a Palermo Between Land And Sea, il festival culturale ideato e prodotto da Fondazione Studio Rizoma e a cura di Eva-Maria Bertschy e Izabela Moren: nella sua cucina creativa, la rassegna amalgama le urgenze del mondo presente declinandole in arte, danza, musica e teatro (fino al 1 luglio, oltre trenta ospiti intrecceranno i loro fili affabulatori tra l’Ecomuseo Urbano Memoria Mare Viva e il Complesso monumentale di Santa Chiara).
Fra le artiste invitate, c’è anche Rossella Biscotti (Molfetta, 1978, vive e lavora ad Amsterdam). Abituata a interrogare i materiali d’archivio per far riemergere storie dimenticate o di lettura non univoca (come il Processo del 7 aprile che ha affrontato indagando la relazione tra linguaggio, ideologie e spazio architettonico) porterà al festival, il 24 giugno, il suo progetto The Journey, nel quale – insieme al sound artist Attila Faravelli – ha registrato i diversi «rumori» e le stratificate ecologie e mappature che collegano i paesi del Mar Mediterraneo («lo presenteremo in maniera orale, sonora»). Il tutto è nato da un’operazione apparentemente semplice: il rilascio di un blocco di marmo di Carrara, ricevuto in dono dall’artista che poi ha gettato in un punto preciso. Quel percorso è stato tracciato, registrando accadimenti inattesi (come la tartaruga marina che supera il confine di pattugliamento di Frontex).
«Sono partita dal marmo e sono arrivata al suono – spiega Biscotti –. Volevo lavorare su una narrazione che comprendesse un tempo allargato, dalla geologia marina alle attuali licenze per le estrazioni di gas e petrolio, dalle voci e la conoscenza specifica di pescatori e marinai alle rotte dei migranti. E così tradurre una serie di informazioni e anni di registrazioni realizzate in mare (con il musicista Attila Faravelli) e sulle coste dell’Italia, Malta e Tunisia. La mia vuole essere una narrazione di viaggio sul mare che, in maniera poetica, riesca ad attivare la sapienza soggettiva e l’immaginazione dello spettatore. Il suono ha questa potenzialità».
Il marmo, dalla potente fisicità, è il materiale in viaggio per raccontare tragitti, esili e rotte difficili. È però anche un «segno» culturale, antico e moderno…
Ho ricevuto il blocco di marmo come premio (il Michelangelo Award) nella XIV Biennale internazionale di Carrara nel 2010. Chiaramente, l’idea connessa a quel riconoscimento era che l’artista estraesse la pietra ricollegandosi a una tradizione scultorea, operare una scelta rispetto al materiale e al taglio e, infine, scolpirlo. Io ho pensato di realizzare un progetto che partisse proprio dal significato di questo materiale d’arte per eccellenza, dalla sua monumentalità e tradizione, non escludendo però la sua formazione geologica e la sua stessa estrazione (il marmo infatti conserva l’aspetto di una roccia con la sua forma naturale, non addomesticata, ndr).
La performance The Journey inizia quindi con una sonorizzazione delle cave e il rumore dell’estrazione delle pietre di risulta che vengono fatte cadere dalla montagna, producendo un suono simile all’acqua. In questo modo, ho potuto creare un collegamento con un altro ambiente, il mare. Il legame avviene proprio fisicamente attraverso un viaggio (che ho realizzato nel 2021, era parte del Kunstenfestivaldesarts di Bruxelles e con la collaborazione di Blitz Valletta e Dreamcity Festival di Tunisi). Nella mia performance, la nave Diligence salpava da Valletta (Malta) con a bordo il marmo e per tre giorni attraversava il Mediterraneo centrale con una rotta Gps che avevo appositamente disegnata. Fino al rilascio del blocco tra le onde.
Archeologia e osservazione del presente: i relitti del passato, fonti di ispirazione, e i barconi che affondano tragicamente oggi con i migranti a bordo. «The Journey» ha forse due narrazioni che procedono parallele, «bucando» differenti dimensioni temporali?
In realtà, le narrazioni possibili sono molte perché mi interessava porre domande sul mare e sul Mediterraneo, luoghi di grande complessità e ritualità. Il Mediterraneo conserva molte navi affondate, alcune risalenti alle più recenti guerre mondiali. The Journey può essere considerato un lavoro sull’esperienza, su come le informazioni, quelle raccolte nel corso di una lunga ricerca, possano trasmigrare nel vissuto dello spettatore di fronte all’opera, nello spazio e nella sua temporalità, durante la condivisione della performance.
Come è stata decisa la rotta? A fare da guida c’è stato qualche evento accaduto?
Ho sviluppato il percorso di The Journey attraverso varie ricerche tra il 2016 e 2022, partendo dall’idea del mare non solo come superficie ma anche «profondità». Ho compilato una serie di mappe che mettevano insieme informazioni, dai confini delle operazioni militari (che avevo ottenuto incrociando i dati della capitaneria di porto di Roma e Palermo e quelli di una compagnia privata che si occupa della sicurezza del Mediterraneo attraverso il monitoraggio con tecnologie ad alto livello), ai relitti, le rotte di animali, mappe di pescatori, connessioni di cavi sottomarini ecc. La rotta Gps che ho tracciato segue questi punti di interesse, letteralmente muovendosi sulle linee geologiche delle profondità marine, lungo le frontiere delle zone militari o la scia di una tartaruga rilasciata da Nature Trust, fino a collegare una serie di punti Gps riferiti alle chiamate d’emergenza dei migranti: sono quelle raccolte da Alarm Phone nel corso di questi anni. Poi, c’è stato il momento del rilascio del blocco di marmo in mare. Questo itinerario, realizzato dapprima in astratto, nella realtà è stato anche interrotto dal rischio di collisione con una nave e pure dal cattivo tempo…
È stato arduo finanziare un progetto così articolato?
Per dieci anni ho cercato di trovare collaborazioni e finanziamenti. Sono tantissimi i partner e le persone che mi hanno aiutata nella ricerca. Partendo da Palermo, per esempio la Soprintendenza del Mare. Poi c’è stato lo spazio espositivo Van Abbemuseum di Eindhoven per il quale ho realizzato una mostra con le mappe dellaricerca nel 2016, fino a Malta lo spazio no profit Blitz Valletta, o il dipartimento di Archeologia dell’Università. Per quanto riguarda la parte economica, sono stata finanziata dal Kunstenfestivaldesarts di Bruxelles (per la performance sonora in partnership con Bozar), Dreamcity festival di Tunisi, Mondriaan Fonds di Amsterdam. Purtroppo, la mia richiesta di fondi all’Italian Council è stata bocciata per tre volte e alla fine una buona parte del progetto è stato anche pagato da me personalmente.
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